Ci sono sentimenti, forse virili, forse soltanto civili, ai quali vale sempre la pena ancorarsi.
Sonoespressioni ingiuste per definizione e di cui, quindi, non è mai disonorevole scusarsi. Né può abdicarsi all'idea che per l'onore di una signora il duello (non esclusivamente fra gentiluomini di sangue blu) sia talvolta doveroso. Accade, invece, che «ciarpame senza pudore» sia ormai lessico diffuso ed accreditato in Italia e fuori d'Italia: pietra "politologica", scagliata quasi di nascosto per colpire, al riparo del lessico di una signora amica, uomini, donne, militanti, dirigenti, simpatizzanti di un'esperienza politica non indegna. Ed accade pure che l'onore della stessa signora amica venga calpestato con la cattiveria adoperata dal "gentiluomo" Vittorio Feltri senza che finora nessuno si sia sentito in dovere di sfidarlo a duello. Se qualcuno l'avesse fatto, qualche altro l'avrebbe accusato di pratica del codice Gelli, di slealtà alla Costituzione e via dicendo; ma forse saremmo stati in tanti a risentirci gentiluomini e gentildonne, ancora capaci di sentimenti, non solo prigionieri di risentimenti. Senza scuse, senza duelli, senza discrezione, tutto è opaco e tutto rischia di diventare volgare. Quelle di Silvio e di Veronica Berlusconi, del loro amore, dei loro amatissimi figli non sono storie volgari. Senza mancare ad esse di rispetto non è credibile un Silvio Berlusconi che ai compleanni dei suoi cari abbia l'esagerata sobrietà di non esserci. Comunque sia, il cosiddetto diritto della cosiddetta opinione pubblica non può ritenersi illimitato, o esercitarsi a scapito di altri diritti. Il "privato" del presidente del consiglio, fra Napoli e Casoria, Varsavia e Roma, ha subito in questi giorni incursioni di "pubblicità" sfrenate. Erano legittime, o ispirate da velenosa morbosità? Certe deduzioni a spizzichi e bocconi sono francamente assurde e su di esse ogni piccola luce è sembrata accendersi solo per far più grandi le ombre. Insinuazioni su "minorenni", tendenziose evocazioni di vicende improbabili, inedite ricostruzioni di episodi diversamente noti sono andate accumulandosi con sempre maggior disordine. Il desiderio di "pubblicità" si è fatto aggressivo. Ed il giornalismo preso sul serio non doveva prestarsi a farsene eco. Certo, soltanto la pubblicità della formazione delle opinioni, riteneva Kant, può portare la politica a "piegare le ginocchia davanti alla moralità", può instaurare una mediazione permanente fra potere e società. Ma per Kant erano irrinunciabili, anzi pregiudiziali, gli ambiti e i limiti dello Stato di diritto: perché il moralismo non soffocasse la moralità. Le cronache delle ultime settimane sembrano sovvertire questa aspirazione. Con buona pace dei moralisti di massa, in servizio permanente effettivo o semplici soldatini di complemento, non esiste alcun diritto pubblico che vieti le candidature di veline. Eppure, la rivendicazione di un diritto inesistente si è fatta travolgente: fino ad abbattere diritti veri.