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Franceschini non indovina una mossa. E i suoi lo hanno già abbandonato

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Manon si sono solo arresi. No, hanno fatto di più. Hanno raggiunto i compagni di partito, che il numero uno del Pd lo hanno sempre visto come un intruso, e si sono seduti pure loro sulla riva del fiume. In attesa che passi il corpo del caro estinto. Ma lui, il caro estinto, non si dà per vinto. La disperazione, si sa, aguzza l'ingegno. E lui d'ingegno, figurarsi, ne ha da vendere. Lui, si capisce, è Dario Franceschini. Più che mai segretario pro tempore di un Pd sull'orlo di una crisi di nervi. Per forza. Ai fianchi si trova due spine: l'Italia dei Valori di Antonio Di Pietro e l'Udc di Pier Ferdinando Casini. E un'estrema sinistra in agguato. Mentre di fronte si ritrova niente meno che la copia del Colosso di Rodi. Che se ne sta sempre al centro del ring e a ogni ripresa aumenta il vantaggio sugli avversari. È così pallido Franceschini non a caso. Passa infatti le nottate a studiare come bastonare di santa ragione il Cavaliere. Il guaio è che va per suonarle e finisce per essere regolarmente suonato. Ma ecco l'ennesima alzata d'ingegno del Nostro. «Cosa ne sa un miliardario, che viaggia su un aereo privato da una villa all'altra, delle donne italiane e della loro fatica? Lui ha in mente un mondo di lustrini, veline e denari che è una cosa diversa dall'Italia vera». Con queste parole il buon Dario credeva di mettere al tappeto Berlusconi. Ma, ancora una volta, si è sbagliato di grosso. Lo si deve capire, del resto. Nessuno più di lui è figlio del pauperismo cattocomunista. Di un tempo andato in cui i compagnucci della parrocchietta, per dirla con il grande Alberto Sordi, indossavano calzini bianchi corti, pantaloni a zompafosso e vestitucci dozzinali con forfora sulle spalle in quantità industriali. Di un tempo, per vederla dall'altra parte della barricata, in cui Enrico Berlinguer si fregava le mani per la crisi petrolifera. Perché così eravamo costretti a vivere nell'austerità. Al freddo e al buio. O giù di lì. Piaccia o no, questo era il mondo di ieri. Un mondo che, se Dio vuole, non tornerà più. Sia chiaro: tutti hanno il diritto di essere posti su un piano di parità ai nastri di partenza. Ma in una società aperta, perché autenticamente liberale, poi ognuno è fabbro del proprio destino. Il discrimine è quello del merito. E bisogna riconoscere che, mentre fior di esponenti della classe politica non hanno mai avuto né arte né parte, il presidente del Consiglio ha raggiunto tutte le mete che si era prefisso perché lo ha fortissimamente voluto. Ora, come se non bastasse Franceschini, si è aggiunta la moglie. Che, consapevolmente o no, ha portato anche lei acqua al mulino del marito. Il quale, una volta chiuse le candidature, ha avuto buon gioco nel dimostrare che le indiscrezioni giornalistiche erano per lo più campate in aria. Ma sì, delle autentiche bufale. A conti fatti, Berlusconi si porterà in campagna elettorale solo tre belle ragazze, sì, ma dal curriculum ineccepibile. E, per di più, già politicamente attive. Il presidente del Consiglio, beninteso, non ha bisogno di sponsor. Ma supponiamo che, presentandosi in ogni contrada d'Italia con codesto contorno, il successo dei suoi comizi sarà ancor più assicurato. Insomma, il Cavaliere ricorda un po' la pubblicità di una nota marca di caffè: più lo butti giù, più si tira su. Lui se ne sta al centro del ring grazie alle sue mosse a sorpresa. Invece il suo rivale, vittima dei propri artifici dialettici, esce regolarmente di scena con le ossa rotte. A questo punto ci permettiamo di dargli un modesto consiglio: se davvero crede ai miracoli, vada in pellegrinaggio a Lourdes. Sempre che non trovi sulla sua strada, scalognato com'è, quel castigamatti del Cavaliere. Sennò saranno dolori.

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