Silvio ha sdoganato le donne in politica
Nonha senso quindi, ed è altamente stucchevole la polemica intorno al «velinismo» (in occasione della formazione delle liste elettorali per le europee). Si tratta, da una parte, della conferma dei tanti luoghi comuni sessisti che girano, sia a destra che sinistra, e dall'altra del complesso d'inferiorità storico che ancora attanaglia le donne, anche quelle ormai ben radicate in posizioni di prestigio, che parlano troppo spesso con le parole degli uomini. È lo scontro tra le «perfette» (secondo modelli stereotipati, convenzionali e superati) e le «imperfette», sempre secondo gli stessi modelli, evoluzione del vecchio scontro ideologico degli anni Settanta tra femministe e antifemministe, donne impegnate e casalinghe; donne arrabbiate e angeli del focolare. Oggi le donne sono e devono essere soltanto sé stesse, e non esiste una società civile di serie «A» e una società civile di serie «B». Se è giusto, infatti, che esponenti del mondo del giornalismo o dell'impresa, o del sindacato o del lavoro, possano entrare in politica, è altrettanto giusto che possa cimentarsi pure chi è lambito da esperienze relative allo spettacolo. Chi decide sull'ammissibilità delle candidate? Chi dà i voti oggettivi? E poi, le candidate in questione saranno giudicate per ciò che sapranno fare e dare. Ossia, al termine del loro mandato. Se saranno valutate positivamente andranno avanti, altrimenti niente. L'opportunità della partenza va data democraticamente a tutti. Facciamo l'esempio di Stefania Prestigiacomo: all'inizio fu massacrata perché aveva avuto il «demerito» di presentare il congresso di Forza Italia. E ora è uno dei politici più apprezzati. Ma si potrebbe allungare la lista alla Poli Bortone, alla Carlucci, alla Carfagna, alla Gelmini, alla Meloni etc. Il problema delle donne in politica è culturale e legato ai criteri di formazione e selezione della classe dirigente. E questo riguarda specularmente gli uomini. Un tempo c'era la militanza come meritocrazia interna (Pci, Msi, Dc), c'erano le scuole di partito (le famose Frattocchie); poi è arrivato il partito-azienda con i suoi meccanismi; poi hanno fatto irruzione la spettacolarizzazione e la personalizzazione della politica. Con annessi e connessi. E alle donne non è restato di meglio che adeguarsi ai canoni maschili della leadership. Preferiamo donne naturali con i tacchi a spillo e la bellezza evidente, o donne «virili» alla Finocchiaro, aggressive alla Mussolini, asessuate alla Rosy Bindi o alla Jervolino, o maestrine acide alla Melandri? Tutte politiche all'altezza, per carità, ma che hanno interiorizzato e somatizzato la politica al maschile. E infine, le quote rosa: altra demenzialità democratica. Servono per riallineare uno squilibrio antico, ma in prospettiva dovranno essere abolite: vinca il migliore sul campo, indipendentemente dal sesso.