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Il commento

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C'èdel vero soprattutto nei passaggi in cui il leader dell'Italia dei Valori individua nella doppia cifra, prudentemente ritoccata a quota 8%, il limite oltre il quale il suo partito elettoralmente non può spingersi: toccate quelle «colonne d'Ercole», Di Pietro annuncia una trasformazione direttamente concorrenziale con l'offerta politica rappresentata dal Partito democratico di Dario Franceschini. «Farò io il grande partito che il Pd non è riuscito ad essere», annuncia Di Pietro. Serviva solo questa pubblica ratifica, ma a me lo schema appariva chiaro già a partire dai primi giorni di questa lunghissima campagna elettorale che porterà al voto europeo: il duello tra Tonino e Dario è di quelli mortali. Il 7 giugno, dati alla mano, ne resterà in piedi solo uno. O Franceschini sarà riuscito a convincere l'elettorato democratico a serrare i ranghi, riaffermando come ha fatto anche ieri che «il Pd è l'unica alternativa realistica» allo strapotere del centrodestra berlusconiano, tamponando dunque l'emorragia di voti verso l'ex pm, oppure Di Pietro raccoglierà lo scettro dell'opposizione inevitabilmente consegnato da un Partito democratico in ginocchio. Ci sono, a mio parere, due asticelle da tenere d'occhio la notte del 7 giugno per valutare chi sarà uscito vittorioso dal duello: la doppia cifra per l'Italia dei Valori, il 27% per il Pd. Non possono verificarsi entrambe le condizioni (Udc e sinistra radicale sommate valgono almeno una dozzina di punti e le opposizioni non hanno la metà dei voti nel Paese), uno dei due fallirà l'obiettivo. Un Di Pietro a monocifra resterà un partito rispettabile ma incapace di essere egemone nell'opposizione a Berlusconi. Un Pd che dovesse perdere oltre sette punti rispetto al già non esaltante risultato delle politiche di un anno fa, sarebbe squassato da scissioni interne a da una rissa tutti contro tutti in vista dell'appuntamento congressuale. La scommessa, dunque, vedrà un solo vincitore. In molti oggi scommetterebbero su Di Pietro, sembrerebbe avere il vento in poppa. Ma le sorprese, a mio avviso, devono ancora arrivare. Ritengo, personalmente, che Di Pietro sia già vicino al massimo del suo elettorato potenziale; il Pd ha invece spazi per crescere, innanzitutto recuperando il proprio popolo stanco dell'eterna sconfitta. Certo, liste Pd a dir poco rinunciatarie, con tutti i leader che non hanno voluto essere generosi con il partito per evitare di collezionare un'altra brutta figura rispetto alla valanga di preferenze che sommergerà Berlusconi, non aiutano lo sforzo di un pur brillante Franceschini. Ma il popolo riformista sa sorprendere: magari basteranno Scalfarotto e la Serracchiani, due quarantenni entusiasti e puliti per cui voterei volentieri se fossero nella mia circoscrizione. Quel che è certo è che domenica 7 giugno celebreremo una nascita e un funerale. Vedremo a chi toccherà in sorte di interpretare il ruolo migliore.

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