Quei maestrini rossi che non conoscono la Storia
L'impressioneè più che giustificata. Questo quarantenne di belle speranze (si fa per dire) ha infatti liquidato le parole del ministro Ignazio La Russa sui partigiani rossi come «insulti intollerabili». Perché, ha spiegato, «tutti i partigiani si batterono per restituire agli italiani la libertà». E in suo soccorso, giovane com'è, sono venuti Virginio Rognoni («più che stonate, parole desolanti») e Giorgio Bocca, che ha parlato di «processo alle intenzioni». Ma che cos'ha mai detto La Russa per meritare le rampogne dei soliti maestrini del politicamente corretto? Ha affermato che i partigiani rossi meritano rispetto, come chiunque si batta per un ideale. Ma ha aggiunto che non possono essere celebrati come liberatori, dal momento che lottarono per instaurare «un futuro stalinista». Con ciò il ministro ha detto una elementare verità avallata dagli storici più accreditati. Da Giovanni De Luna, per esempio. Per il quale «non c'è ombra di dubbio che fermenti di tipo rivoluzionario allignassero nella guerra di classe» («La Repubblica» di ieri). Altrimenti, aggiungo, non si spiegherebbero gli «Adda venì Baffone» squadernati un giorno sì e l'altro pure dai compagni in piazza. È invece opinabile che «il più inflessibile normalizzatore dei furori rivoluzionari fu il Pci». Che invece alternò il bastone rivoluzionario e la carota democratica. Illuminanti al riguardo le parole degli alti papaveri delle Botteghe Oscure nell'immediato dopoguerra. Nella seduta del 5 marzo 1947 dell'Assemblea costituente Renzo Laconi osserva che «nella discussione della Costituzione sovietica, lo stesso relatore, Stalin, propose che venisse respinto l'emendamento col quale si definiva la Repubblica sovietica come Repubblica dei lavoratori, in quanto la realtà sovietica è andata più in là». Un modello da imitare, dunque. Con le buone o con le cattive. Nella successiva seduta pomeridiana dell'11 marzo interviene Palmiro Togliatti, il Migliore in doppiopetto. E le cose non le manda a dire. Afferma che «socialismo e comunismo tendono a una piena valutazione della persona umana... che noi riteniamo non possa essere realizzata, se non quando saranno spezzati i vincoli della servitù economica, che oggi ancora opprimono e comprimono la grande maggioranza degli uomini, i lavoratori». Togliatti vuole una Repubblica democratica di lavoratori perché intende «affermare che la classe dirigente della Repubblica deve essere una nuova classe dirigente, direttamente legata alle classi lavoratrici». E guarda alla Costituzione sovietica come a una meta luminosa. Cose da far accapponare la pelle. Un autorevole deputato comunista, e giurista di valore, tanti anni fa mi confidò: «Meno male che il 18 aprile 1948 non abbiamo vinto noi. Altrimenti ce la saremmo vista brutta». La rivoluzione divora spesso i suoi figli. Paolo Armaroli