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Non servono le divisioni sul 25 Aprile

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Il 25 aprile è - dovrebbe essere - la festa per la restituzione dell'Italia alla libertà dopo l'infausto ventennio. Diversi furono i protagonisti di quella rinascita: gli Alleati che liberarono l'intera penisola con gravi perdite umane, i partigiani che contribuirono nel 1944-45 alla guerriglia al Nord e, da non dimenticare, i reparti dell'esercito regio che faticosamente si riorganizzarono dopo la debacle dell'8 settembre. Una tale ricorrenza dovrebbe essere perciò un appuntamento nazionale di tutti gli italiani, senza distinzioni e aggettivazioni. La sua celebrazione spetterebbe innanzitutto a chi rappresenta l'unità del paese: il presidente della Repubblica, il presidente del Consiglio, e i presidenti del Parlamento e della Corte costituzionale. Ma la storia repubblicana insegna che dal Sessantotto il 25 aprile è divenuto prerogativa dei movimenti di sinistra che rivendicano pretestuosamente una specie di esclusiva sulla Resistenza e perfino sulla Liberazione; senza parlare dell'ultimo quindicennio in cui le manifestazioni di piazza sono state strumentalizzate per esercitare una sorta di rivincita contro i berlusconiani al potere. In questi giorni il presidente del Consiglio, replicando al leader dell'opposizione, ha annunziato che forse, per la prima volta, entrerà in campo. La vera anomalia in tal caso consiste nel fatto che Franceschini ha parlato, secondo un vecchio vizio, come se il 25 aprile fosse roba sua. Se davvero Berlusconi, Franceschini e gli altri che hanno responsabilità nazionali, poco importa se di destra o di sinistra, si troveranno insieme alla celebrazione, significherà che finalmente si è fatto un passo avanti nel maturare quello spirito nazionale che tanto ci difetta. Incombono però due incognite speculari che riporterebbero in auge l'Italietta faziosa, prigioniera di un passato che non vuole passare. La prima riguarda i militanti di una qualche sinistra e i loro rappresentanti: se dovessero contestare la partecipazione del centro-destra, si dovrebbe prendere atto che vi è una fazione nel Paese incapace di superare le turbe e i rancori adolescenziali. La seconda riguarda la parte opposta di destra che, se continuasse a parlare di pacificazioni e di equiparazioni dei nemici della guerra civile, dimostrerebbe che dietro la svolta storica di Alleanza Nazionale, e in particolare del presidente Fini, v'è ancora una zona d'ombra nostalgica che vive obnubilata da antiche nebbie.  

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