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Era la sinistra voleva la testa di Agostino

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Silenzio. Nel giorno in cui il gip di Roma archivia l'inchiesta su Silvio Berlusconi e Agostino Saccà, il Pd e il centrosinistra tutto tacciono. Nessun commento, nessuna dichiarazione. Silenzio. Eppure non era così nel dicembre del 2007 quanto il gruppo Espresso aveva deciso di rendere pubblici testi e audio delle telefonate tra il Cavaliere e il direttore di Rai Fiction. Quelle chiamate, risalenti al giugno di dello stesso anno, avevano scatenato tutta l'indignazione di chi, spiegava il deputato ulivista Franco Monaco, deve essere «alternativo politicamente, ma anche eticamente a un'idea e a una pratica politica senza scrupoli e senza pudore». «Squallore», «sensazione deprimente», «telefonata imbarazzante» erano i commenti più ricorrenti. «In Rai operava una vera e propria organizzazione parallela al servizio del leader di Forza Italia Silvio Berlusconi» denunciava l'allora sottosegretario alla Solidarietà Sociale Cristina De Luca. E via con la solita litania sul conflitto d'interessi vero e unico male del nostro Paese. Ma più di Berlusconi, il vero obiettivo è Agostino Saccà. Tanto che l'allora presidente della Rai Claudio Petruccioli non si nasconde: «Ho trovato l'etica, lo stile, l'atteggiamento della telefonata di Saccà a Berlusconi incompatibili con lo svolgimento della sua funzione di direttore del servizio pubblico». Meno sibillino il deputato dell'Idv Antonio Borghesi: «Bisognerebbe pensare al licenziamento per l'ex direttore generale e ad una richiesta di risarcimento danni per l'azienda». E così Agostino, che nel frattempo si è autosospeso, si trova suo malgrado protagonista di una lunga telenovela. Dentro e fuori da Viale Mazzini manco fosse un pacco postale. Ma, col passare del tempo, la furia del centrosinistra, complice forse la caduta del governo Prodi, si placa. Tanto che, a giugno del 2008, il tono dei commenti è quasi comprensivo. «La mia concenzione è lontana mille miglia dal giustizialismo girotondino - commenta il Pd Giorgio Merlo - Se avessi telefonato a Saccà per suggerirgli di girare una fiction sarebbe stato un atto criminale?» «Ammetto che il 99% del roba pubblicata appare abbastanza risibile» gli fa eco il collega Fabrizio Morri. Mentre l'ex ministro della Comunicazioni Paolo Gentiloni, pur indicando le telefonate come «sintomo di un degrado», ammette che siano «del tutto marginali». Mentre Giovanni Minoli e Sandro Curzi si schierano apertamente dalla parte dell'ex direttore generale. Tutto sembra concorrere al bene, ma a luglio è ancora una volta l'Espresso a gettare benzina sul fuoco delle polemiche pescando negli atti giudiziari un altro po' di telefonate. E si ricomincia. Petruccioli non ha dubbi: «Sul caso Saccà si deve assolutamente intervenire altrimenti è la fine della Rai come servizio pubblico e come azienda». Il 16 luglio il direttore generale Claudio Cappon propone al Cda il licenziamento «in relazione alle gravi violazioni accertate ed al notevolissimo danno d'immagine subito dalla Rai». Curzi si astiene (con lui anche Staderini consigliere di amministra in quota Udc). La proposta viene bocciata. La rabbia dei compagni si scatena contro il «traditore» che, il 23 luglio, in un articolo sull'Unità prova a spiegare la sua scelta. Sempre meglio del silenzio imbarazzato che oggi il centrosinistra sfoggia davanti alla fine di una vicenda che, a distanza di un anno e mezzo, si è dimostrata un'enorme bolla di sapone.

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