L'ipocrisia del Pd sulle nomine

seguedalla prima Ho fatto il parlamentare di sinistra per sette anni e ho avuto fra i miei colleghi alcuni giornalisti Rai. Per un breve periodo sono stato portavoce di Piero Fassino e sono stato subissato di richieste di raccomandazioni di giornalisti Rai di sinistra. Nelle scorsa campagna elettorale per le europee Michele Santoro mi chiese di far presente alla segreteria dei Ds che se non gli veniva garantito un certo numero di preferenze avrebbe ritirato la candidatura. L'intreccio fra politica e Rai, e sinistra e Rai, è sempre stato ferreo. La cosiddetta lottizzazione ha promosso molti professionisti di qualità e alcuni privi di merito. Senza la lottizzazione non ci sarebbe lo spacchettamento in tre reti concorrenti. Qualche decennio fa una grande spartizione portò alla Rete 3 fior di professionisti, fra cui Guglielmi, Curzi e Santoro, che hanno innovato il modo di fare televisione. Alcune carriere politiche sono nate grazie alla forza del partito Rai. Beppe Giulietti, leader di articolo 21, è tuttora il punto di riferimento per promozioni e bocciature. Walter Veltroni specializzò il mite Vincenzo Vita come esperto di cose radio-televisive. Piero Fassino, diventato segretario, affidò il potente ufficio che si occupava di Rai a Fabrizio Morri, suo segretario personale e fino ad allora digiuno di competenze sul tema dell'informazione. Nella periferia del sistema Rai lo scambio fra politica e informazione ha dato a sinistra illustri presidenti di Regione, sindaci, consiglieri comunali. Tutto questo si è svolto alla luce del sole. L'opinione pubblica quando sente parlare di nomine non distingue destra da sinistra perché sa che la lottizzazione è stata praticata dalle due parti, spesso di comune accordo. Perchè, allora, gridare oggi allo scandalo? La sinistra deve molto alla Rai. In tempi non lontani si teorizzò persino che non servivano più i giornali di partito, che difatti vennero fatti morire, perché la comunicazione politica si svolgeva nei notiziari quotidiani dei maggiori Tg e di uno in particolare. Conosco giornalisti Rai che per criticare i propri colleghi non usano categorie professionali, tipo "è bravo" ovvero "non è bravo", ma indicano con puntigliosità l'appartenenza politica. Spesso nella stessa sinistra Rai la vicinanza ad un leader piuttosto che ad un altro è considerato un titolo di privilegio o di sventura. Nessuno può scagliare la prima pietra. Finirebbe in una auto-lapidazione collettiva. Consiglierei una maggiore prudenza. O si fa un'autocritica generale e ci si emenda per la diffusa pratica lottizzatoria, oppure si deve avere il buon gusto di tacere. Questo vuol dire che bisogna rassegnarsi? Finchè la Rai è quella che abbiamo di fronte (un Cda spartito, un presidente lottizzato) sarà difficile separarla dalla politica. Bisognerebbe ripensare l'intera struttura della comunicazione pubblica. Forse un giorno accadrà. Oggi speriamo che siano nominati i più bravi, qualunque partito votino. Peppino Caldarola