Franceschini, ora molla RaiTre

Il copione è sempre lo stesso. Con qualche variante. Quella di quest'anno, ad opera del nuovo segretario dei Democratici, Dario Franceschini, recita così: «Le scelte per i dirigenti Rai si fanno lì, alla Rai, e non a casa del proprietario delle reti concorrenti. Perché le nomine non sono una torta da spartire. La Rai non è una torta ma è il servizio pubblico televisivo». Quelli della sinistra fanno sempre così. Se le nomine le fanno loro sistemando amici, parenti, zii, nonni, figli e amanti sono scelte fatte nell'interesse del Paese, nel pieno rispetto delle professionalità e del merito. Se le fa Berlusconi (anzi: se prova a farle) sono una porcata, una schifezza a prescindere prima ancora che si concretizzino. E qui vogliamo aprire una piccola parentesi. Berlusconi viene dipinto come il padrone dell'infromazione ma fin qui non è riuscito a piazzare un solo nome che sia uno dei suoi. Non è riuscito ancora a fare un nome di centrodestra. Né nei grandi giornali, né alla Rai, né altrove. Ma torniamo al Pd. Seguendo il ragionamento di Franceschini, Berlusconi a casa sua non può citare la parola Rai. Vietato. Se gli sta per scappare, deve uscire di casa, mettersi in macchina e andare a Palazzo Chigi, salire al primo piano, entrare nel suo ufficio e allora sì, può dire «Rai». O al massimo «Tg1». Gli è concesso anche dire «fiction», ma senza coniugare verbi. Ma che diavolo di ragionamento è? Sotto accusa infatti ci sarebbe una riunione che si è svolta a Palazzo Grazioli due giorni fa in cui si sarebbe parlato anche della tv pubblica. Franceschini grida allo scandalo e non v'è dubbio che sappia interpretare al meglio il sentimento comune degli italiani. Infatti, nel pieno della più grave crisi economica che si ricordi e a seguito di un terremoto devastante nei bar della Capitale, almeno ieri, non si parlava d'altro. Si sono viste anche scene inquietanti. Manifestanti hanno preso d'assalto l'appartamento del premier, due giovani in difesa della libertà di informazione di sono cosparsi di benzina e dati alle fiamme a piazza Colonna, l'Onu è preoccupata, nelle tendopoli abruzzesi è sceso un plumbeo silenzio. Sia chiaro, Franceschini aveva dimostrato di avere un particolare fiuto per essere in sintonia con gli italiani già quando aveva deciso di giurare sulla Costituzione all'atto d'insediamento quale leader del Pd. E veniamo al nocciolo della questione. Il successore di Walter Veltroni afferma che le nomine non sono una torta da spartire. Perché non fu certamente una torta da spartire quella che fu servita al tavolo di un ristorante romano dove Dc e Psi di fatto decisero di cedere al Pci RaiTre in cambio del sostanziale assenso della sinistra alle concessioni tv a Fininvest. A quella mensa si accomodò anche Veltroni. Ma quella evidentemente non era una spartizione. E si potrebbe andare avanti nella storia, riportando l'elenco completo di nomi, persone, fatti e appartenenze per dimostrare che la sinistra ha occcupato come prima e più di prima. Per farlo rimandiamo alla simpatica lettura di un libretto uscito esattamente quindici anni fa con la firma di Paolo Murialdi: «Maledetti professori». È il diario di un consiglere di amminitrazione Rai, della sinistra, sul suo mondo. Si racconta di un Michele Santoro che ha deciso di rimanere alla Rai perché per lui è in arrivo la promozione a vicedirettore del Tg3, di una autocandidatura di Paolo Garimberti, di Sergio Zavoli che si è ridotto il compenso ma anche l'impegno, del peso piuma Lilli Gruber quando i giochi si fanno duri. Eh, sì, questa è l'altra costante della sinistra: sono sempre gli stessi nomi, facce, volti. Sempre il solito circo Barnum. Sempre gli stessi che si spartiscono gli stesi posti. Ma Franceschini non lo sa. O lo sa, ma per lui non è nemmeno una spartizione quella che vorrebbe assegnare la direzione di RaiTre e del Tg3 al Pd con due degnissime persone. E se è giusto che la politica faccia un passo indietro, cominci proprio il partito di Franceschini. Per esempio concedendo la direzione di rete a Di Pietro e la direzione del telegiornale a Casini. Già, se davvero il Pd ha a cuore la libertà di espresione di tutti, non faccia manbassa all'interno dell'opposizione. Decida così. Anche a casa sua.