la paura infinita: "A casa non ci torno"
{{IMG_SX}}I motori diesel delle due locomotive sono sempre accesi. Ma quei treni non partono mai. Restano fermi alla stazione dell'Aquila con le cuccette piene di passeggeri che non vanno da nessuna parte. Quei vagoni, infatti, sono diventati la nuova casa su rotaie per 600 persone rimaste senza tetto. E i motori servono a fornire l'energia per la luce e il riscaldamento. Non è, però, solo l'impossibilità di tornare nelle abitazioni lesionate o distrutte a spingere gli sfollati del capoluogo ospiti delle Ferrovie dello Stato a restare lì, stipati in cinque o sei in uno scompartimento. No, è qualcosa di diverso, di forte, di incontrollabile. È la paura. Quella che nasce dal ricordo ancora vivo della notte terribile, di quel rombo sordo, dei venti secondi che hanno devastato la provincia. Quella provocata dallo stillicidio logorante e apparentemente inarrestabile delle scosse telluriche. E, infine, il terrore diffuso che il sisma torni a colpire come o addirittura in modo ancora più violento del 6 aprile. Un nuovo «big one» che tutti temono e si aspettano, anche se non c'è alcun indizio scientifico. Alessandra vive in una delle 18 carrozze con la madre, il fratello e due figli. «I primi giorni siamo andati a Roma da parenti, ma anche quella era una casa di mattoni e mia figlia in una casa non ci vuol tornare - spiega - Mia sorella è nelle stesse condizioni, sebbene il palazzo dove viveva non abbia avuto danni. Non possiamo costringere i bambini a vivere nel terrore». Come lei la pensa Adelina, 73 anni, alloggiata nella carrozza 3. «Ci stiamo in cinque e certo non è un albergo ma a casa, anche dopo le verifiche, non ci voglio tornare. Assolutamente. Anche stanotte la terra ha tremato e siamo terrorizzati. Se continua così, non se ne parla proprio», afferma risoluta la vecchina. Claudia, 25 anni, studentessa di Lettere e Filosofia qui all'Aquila, seduta su una panchina, guarda il braccio meccanico della gru che demolisce un edificio pericolante nel piazzale dedicato ai caduti dell'8 dicembre 1943, la strage nazista di Onna: «Mi si stringe il cuore, perché quel palazzetto ha la mia età - dice - Nel mio condominio stanno facendo la verifica questa mattina ma non credo che tornerò subito. In treno le scosse quasi non si avvertono. Lì, invece, anche un semplice tramezzo può far del male. Perché rischiare se qui siamo al sicuro?» Stesso discorso lo fa Antonella, 38 anni : «Abbiamo paura a stare sotto un tetto. Anche chi ha avuto la certificazione di agibilità dorme fuori, in auto o altrove. Come si fa? Questo terremoto non finisce mai...». E se Michel rientrerebbe nel suo appartamento, la moglie Loredana la pensa diversamente: «La paura non passa e c'è il timore di un'altra grande scossa». Più drastica di tutti, Liliana, 33 anni, che abitava a Civita di Bagno: «La nostra casa non ha subito danni ma a tornare non ci penso né ora né dopo la verifica. Non tornerò mai più, voglio andar via da questa città, anche perché ci vorranno vent'anni per ricostruirla». La situazione di fibrillazione psicologica è la stessa nelle tendopoli. «La voglia di tornare a casa è tanta e vivere qui è comunque disagevole malgrado la buona organizzazione e l'ottima assistenza, ma la paura è più forte - sottolinea nel campo di Poggio Picenze l'assessore alle politiche sociali Silvana Taddei - Le verifiche sono iniziate ieri. Il sisma però non sembra esaurirsi e poi la gente in casa sta da sola. Qui stiamo tutti insieme e ci sentiamo più sicuri. Forse, quando il terremoto si fermerà, dopo qualche giorno qualcuno si convincerà a tornare in casa. Magari solo di giorno. Poi, la notte, di nuovo tutti qui, fianco a fianco, nelle tende...».