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L'Aquila bella e l'architettura che resiste

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Romami affascinava e aveva già suscitato il mio impegno di studioso, ma la sua vastità, la sua densità mi spaventava, L'Aquila mi venne incontro come una città confidenziale, pronta a concedersi in una intimità diretta e appassionata. Visitai la piazza con lo splendido mercato in cui i ramaioli mostravano le loro conche luminose e accanto fiorai e verdurai sciorinavano le coloratissime mercanzie. Se la Cattedrale con i suoi volumi tagliati con l'accetta, mi lasciava indifferente la chiesa della Misericordia invece suscitava il mio entusiasmo per il ricordo borrominiano del timpano curvo disegnato sullo sfondo del cielo come il pettine di una dama spagnola. La chiesa di Collemaggio, non ancora violata dai falsi restauri di un soprintendente troppo zelante, mi colpì per la gioiosa geometria del soffitto barocco. La facciata mi sembrò meritare la definizione di fronte della città che il pittore Scipione aveva adottato a Roma per la fontana dell'Acqua Paola sul Gianicolo . Quando la sera dopo aver visitato decine di palazzi e di chiese, uscito dalla chiesa di San Bernardino, percorsa in discesa la bella scalinata, mi addentrai nel tessuto armonioso delle viuzze e delle casette feci la mia scoperta più sorprendente: due toponimi che mi ronzano ancora nella memoria come il crisma di una vocazione poetica che dalle pietre si trasmette all'anima: Via delle Cento Stelle e Sdrucciolo dei poeti. Ho scoperto poi che via delle Cento Stelle c'è anche a Firenze, un'altra città che di poeti ne ha allevati tanti, ma quella sera a L'Aquila mi sembrò un fatto unico, una prova del nove di come una città può offrire a chi la vive anche per una sola serata un momento di sintonia profonda, una offerta d'amore. L'amore per il luogo secondo me è il primo indispensabile requisito per una buona architettura e l'Accademia di Belle Arti è nata, nel 1978, trenta anni dopo l'incontro con la città. Il fatto che l'edificio abbia resistito al terremoto senza scomporsi è forse un segno della fertilità di questo amore, ma anche più concretamente di un ossequio alle regole, quelle vitruviane, del buon costruire: firmitas, utilitas, venustas. Preziosa è stata la collaborazione di mia moglie Giovanna e di Giampaolo Ercolani, che ha anche diretto i lavori. La firmitas è una conseguenza della regolarità e l'edificio ha la forma di una stella pentagonale perché cinque sono i campi di ricerca dell'Accademia. La resistenza alle spinte orizzontali prodotte dal terremoto è conseguenza di una connessione forte tra sostegni verticali e solai e di una composizione per maglie chiuse. Regole rispettate insieme a quelle del calcolo e della scrupolosa esecuzione, merito quest'ultima dell'impresa di Francesco Carchella, un costruttore ciociaro, che aveva realizzato alcune opere del mio maestro Mario Ridolfi. Paolo Portoghesi

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