Franceschini non rianima il Pd
{{IMG_SX}} Il Pd non si rialza. La speranza dei Democratici che Dario Franceschini riuscisse a riaccendere i fasti di un partito che fu si scontra con i dati più recenti sulle intenzioni di voto. L'ultimo sondaggio di Renato Mannheimer dà il Partito Democratico al 24, 25 per cento, una cifra lontanissima da quel 33% conquistato alle elezioni politiche di un anno fa. L'«effetto» Franceschini ha portato in dote al Pd un solo punto in percentuale rispetto al rilevamento dello stesso istituto fatto a gennaio, quando i Democratici erano attestati al 23 per cento. Un po' poco per chi sognava un grande rilancio. Il nuovo segretario non è riuscito a imprimere una vera svolta al partito, continuando a battere la strada che aveva già imboccato Veltroni, quella della contrapposizione frontale a Berlusconi. Una strategia che si è dimostrata comunque perdente. Ma il logoramento del leader del Pd, dopo due mesi alla guida del partito, è stato causato anche da altri fattori. Primo fra tutti l'iperattivismo di Berlusconi. Sul terremoto che ha piegato l'Abruzzo il premier ha fatto vedere un'Italia nella quale la macchina dei soccorsi ha funzionato e in cui il governo è stato sempre presente accanto a chi è rimasto senza casa. Il presidente del consiglio è andato nelle località colpite dal sisma fin dal primo giorno. Ha consolato, parlato, pianto. Ha diretto insieme a Guido Bertolaso la macchina dei soccorsi, ha messo in moto tutto quello che è nelle possibilità dell'esecutivo. E la «pax politica» instaurata proprio grazie a questa tempestività di interventi ha di fatto costretto al silenzio il Pd. Anche la proposta di far svolgere il referendum elettorale insieme alle elezioni amministrative di giugno ha messo a tacere l'opposizione, togliendole uno degli argomenti di polemica. A «urlare» contro Berlusconi è rimasto Santoro. Ma chi sposa le sue critiche ai soccorsi non è un elettore del Pd. Piuttosto fa parte di quella schiera di persone che preferiranno premiare l'opposizione a muso duro che sta facendo Antonio Di Pietro. Perché anche su questo Franceschini ha dimostrato di essere poco credibile: decidendo di attaccare il premier è andato a invadere il campo di chi è sicuramente più bravo di lui. Come appunto il leader dell'Italia dei Valori. Ma il partito di Franceschini è stato «svuotato» anche dal lavoro di altri leader. Ad esempio Guglielmo Epifani. Portando in piazza la Cgil ha dato voce al malcontento della sinistra e ha costretto il segretario del Partito Democratico a inseguirlo su questo terreno. Ma con la partecipazione — a titolo personale — alla manifestazione di sabato 4 aprile a Roma, Franceschini ha scontentato l'altra parte del suo partito, quella più cattolica e centrista. Alla quale ha dato voce Paola Binetti. «Non sono stata affatto entusiasta, per non dire critica — ha spiegato — per la partecipazione di Franceschini alla manifestazione della Cgil, dove quella piazza vista in televisione era rossa». Un'area cattolica che guarda con sempre maggiore simpatia all'Udc di Pier Ferdinando Casini. Il quale, da parte sua, non pensa neppure lontanamente di allearsi a livello nazionale con il Pd. Preferisce piuttosto svuotarlo lentamente proprio di quei centristi che non ne possono più dell'egemonia dei Ds. Infine Gianfranco Fini. Il suo discorso al congresso fondativo del Pdl ha ricevuto applausi e consensi anche dal centrosinistra. Così, come testimonia l'ultimo sondaggio di Mannheimer, una parte dei voti del Pd potrebbe confluire direttamente nel Popolo della Libertà.