Costruiamo a L'Aquila una Harward italiana
Lenew town sono sempre deserti affettivi: si immagini dopo un terremoto». Queste parole di Renzo Piano, forse il più celebre architetto italiano, dimostrano ancora una volta che è preferibile che i tecnici non governino. Perché se c'è un insegnamento da trarre dal terremoto abruzzese è che certe costruzioni non avrebbero mai dovuto sorgere. E dunque è bene non edificarle nuovamente. L'idea di ricostruire tutto «proprio dov'era» è cattivo conservatorismo che cerca di rimuovere la profonda ferita inferta dal terremoto e dalla cattiva politica e dimentica il dovere di offrire a una terra, una città, un popolo una prospettiva per il futuro che accenda una nuova speranza, se possibile un nuovo sogno. Per queste ragioni voglio avanzare una proposta, profittando anche del ruolo di consigliere del ministro Gelmini. Una proposta che porgo al premier, al ministro per l'università, al governo tutto: la new town da costruire accanto a L'Aquila sia una cittadella universitaria e abbia al suo centro il primo campus universitario d'eccellenza del nostro Paese, l'Harvard italiana. L'Aquila, negli ultimi 15 anni, ha visto crescere il peso dell'università nelle attività economiche: in una città di 70mila abitanti sono ben 27mila gli studenti universitari, di cui 9mila da fuori Abruzzo; sono nove le facoltà - Biotecnologie, Economia, Ingegneria, Lettere e Filosofia, Medicina e Chirurgia, Psicologia, Scienze della Formazione, Scienze matematiche, fisiche e naturali, Scienze Motorie - diciotto i dipartimenti, 41 i corsi di laurea breve e 43 quelli di laurea magistrale. Non è, poi, purtroppo un caso che, nella triste contabilità dei morti, i giovani universitari siano circa la metà. Molti di loro vivevano nella casa dello studente - crollata la notte della prima scossa - e in case che tutto erano tranne che antisismiche. Ora il rischio che l'Università de L'Aquila corre è la dispersione: gli studenti fuori sede pronti ad andare altrove, gli studenti abruzzesi in movimento verso sedi secondarie o addirittura altre città. E una città martoriata che si trasforma in una città fantasma. Ecco perché occorre un progetto per il futuro, un'idea da realizzare in 24 mesi che dia alla ricostruzione il senso di una nuova missione per L'Aquila e per l'Italia. Non si tratta - opera impossibile - di ricostruire Palazzo Carli, stupendo palazzo del Cinquecento e sede del rettorato, ora raso al suolo. Si tratta di pensare e realizzare, in due anni, una grande opera abruzzese per il futuro dell'Italia. Ecco perché una new town universitaria, una sede di eccellenza per il centro Italia, una Harvard italiana che riequilibri la spaventosa dimensione dell'università di Roma La Sapienza e costituisca il cuore dello sviluppo dell'Abruzzo. La storia dell'università de L'Aquila, i centri di ricerca a essa collegati, il laboratorio del Gran Sasso dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, sembrano collocati là proprio per questo.