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L'AQUILA

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Una gerbera arancio per Martina. Arancio come il suo colore preferito. Martina Salcuni di Lanciano, morta in via XX Settembre. L'amica del cuore stringe a sè il mazzetto di tulipani bianchi che fanno da corona alla gerbera. Le lacrime scendono copiose. Arancio anche le rose sulla sua bara, allineata con altre 205 nella piazza d'armi della caserma «Lo Giudice» della scuola sottufficiali della Finanza. Una distesa di bare mai vista. Un dolore immenso esala dalle oltre quattromila persone che partecipano ai funerali più tragici d'Italia. Tantissime altre non sono riuscite a venire. Ma qui oggi c'è tutta l'Italia a porgere l'estremo saluto alle vittime del terremoto che lunedì notte ha devastato l'Aquila e la sua provincia. Ci sono tutte le più alte cariche dello Stato, guidate dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. C'è il premier Berlusconi che, prima che inizi la funzione, si aggira tra i feretri mostrando sul volto i segni evidenti della partecipazione a una tragedia che ha devastato L'Aquila e sconvolto il Paese. Piange e si stringe ai parenti. La messa è concelebrata dal segretario di Stato vaticano cardinal Tarcisio Bertone, dai vescovi d'Abruzzo, dai sacerdoti delle chiese della regione. C'è l'arcivescovo del capoluogo Giuseppe Molinari. Latore di un messaggio del Papa è arrivato anche monsignor Georg Gaeswein, segretario particolare di Benedetto XVI. «Vi sono spiritualmente vicino nella immane tragedia. Non cedete all'angoscia», è l'appello del Pontefice. «Questo è il momento dell'impegno, in sintonia con gli organismi dello Stato, che già stanno lodevolmente operando. Solo la solidarietà può consentire di superare prove così dolorose», sottolinea il Papa. La «via dolorosa» dell'Abruzzo cade nel giorno della passione e morte di Gesù. Ed è proprio il Vangelo di Giovanni che viene letto durante le esequie. Il giorno della morte prima della resurrezione. Giorno nel quale l'evangelista Marco ricorda il terremoto che colpì Gerusalemme nell'istante in cui Cristo morì. Nel segno della fede cristiana, che proprio in questi giorni celebra il suo dogma, ecco che il cardinal Bertone ha esortato a «riprendere il cammino» dopo il terremoto, «portando insieme il dolore dell'incolmabile assenza dei defunti, con una presenza più assidua, fraterna e amichevole presso le loro famiglie, ancora più autenticamente diventate le nostre famiglie». Mai come di fronte alle 205 bare delle vittime del terremoto, ha osservato il cardinal Bertone, si avverte «il silenzio dell'uomo invaso dal dolore, ma anche il silenzio di Dio. Dio - ha osservato il segretario di Stato vaticano - può sembrare assente, il dolore può sembrare una forza bruta e senza senso, le tenebre degli occhi pieni di pianto sembrano spegnere anche i più timidi raggi di sole e di primavera». Ma il Dio cristiano, ha ricordato, «è un Dio che soffre con noi e per noi» e «soffrendo tiene accesa la speranza». Messaggio di speranza anche della preghiera degli islamici. Sono sei le vittime fedeli dell'Islam anche se le loro bare non sono tra le 205 allineate nel piazzale. «I morti sono tutti uguali, come dovrebbero essere i vivi. Il Dio unico - dice il presidente dell'Ucoii Mohammed Nour Dachan - aiuti l'Abruzzo a tornare a fiorire». La sofferenza è sui volti dei parenti. Degli amici. Dei soccorritori con le loro tute colorate. Le lacrime di un Vigile del Fuoco. Quelle di un agente della Forestale. Gente che ha ancora stivali e tute impolverati da giorni trascorsi a cercare di salvare qualcuno rimasto intrappolato sotto le macerie. Il pianto sommesso di tanti ragazzi ai quali il terremoto ha ucciso gli amici. Una strage di giovani. Di mamme e figli. Piccole bare bianche accanto o sopra a quelle di mogano dei genitori. Quella di Vittorini Fabrizia, 10 anni, coperta di peluche vicino a quella della madre. Il padre, medico chirurgo, e un fratello si sono salvati. I giocatoli sopra il piccolo sarcofago di Andrea Esposito anche lui unito nella morte a chi gli diede la via: mamma Valentina. Ancora una famiglia distrutta: Antonio De Felice era il papà di Lorenzo, tre anni, e di Alessandro, uno in più del fratellino. Alexandra, piccola moldava bionda, accarezza le bare dei suoi due amichetti italiani che non ci sono più. Tenera gira intorno a quelle scatole di legno che racchiudono sorrisi, corse e salti che l'hanno fatta sentire meno straniera. Poco lontano, su quell'enorme tappeto rosso sul quale sono distesi i feretri, c'è, solitaria, quella di Martina Grec, appena 3 anni, dalla Moldavia, da un mese in Italia. Un fiore sulla sua bara e accanto solo tre amiche di famiglia. «Il padre è ricoverato al Gemelli di Roma - spiegano - la madre è in coma e la gemellina sta, per fortuna, bene». Abitavano a Fossa e il sisma li ha colpiti nel sonno. La casa è stata completamente distrutta. In fondo quasi di fronte alle autorità spicca la bara 207, la più piccola. In 50 centimetri di legno bianco, riposa Antonio Iovan, un bimbo rumeno di cinque mesi. La piccola cassa che lo contiene è sopra quella della mamma Darinca e il papà Laurentiu. Romeni venuti in Italia a cercare un futuro migliore e morti da italiani. Altre piccole casse in questa distesa di morte. C'è Ludovica, che un anno l'avrebbe compiuto il 29 settembre; Francesco, che a settembre avrebbe finito i suoi due anni. Gente d'Abruzzo, forte, aspra e dignitosa. Il dolore è sommesso. Quasi bisbigliato. Le lacrime nascoste dagli occhiali. Sguardi attoniti persi nei ricordi. Occhi velati di sofferenza. Come quelli di Bruno Vespa, che cammina tra i feretri scuotendo la testa. Cittadino aquilano, è legato ai suoi concittadini che soffrono. Porta dentro di sé la ferita di questa città. Ascolta i racconti. Piccole rughe sul volto rivelano la sua sincera commozione. La stessa di Serena, che piange l'amica Anna Parabok, 19 anni. «La ricordo sempre sorridente». Così gli amici di Giustino Romano, 25 anni, che domenica sera, dopo le prime scosse, scriveva su Facebook: «Mi faccio due birre per non pensare al terremoto». Dopo il sisma gli amici hanno bersagliato di messaggi il social network e il suo telefonino. Nessuna risposta. Lo hanno riabbracciato in questa piazza d'armi. «Una persona stupenda. Tranquilla. Il ragazzo più generoso del mondo», così Diego ricorda Lorenzo Sebastiani, il pilone de «L'Aquila rugby». Sulla sua bara circondata da ragazzoni in tuta ginnica, i compagni di squadra, è stata appoggiata la maglia azzurra della Nazionale. Giovani, tanti giovani. E tante mamme che li piangono. Sedute in terra accanto a loro. In silenzio. Sorrette dagli psicologi che le confortano. Nomi che il vescovo Molinari cita uno a uno: «Claudia, Fabrizia, Valentina, Filippo». E ancora le religiose che hanno perso la vita: «Suor Gemma, Suor Lucia e Suor Anna». «Tante volte ho condiviso momenti importanti e belli, ci siamo abbracciati, abbiamo pianto e pregato insieme - ha detto il vescovo di questa città martire - Mi sono tornati davanti agli occhi tanti volti noti, che conservo nel cuore con immenso affetto». Ora è il momento del dolore. Dolore che non si placa e continua a coinvolgere altre famiglie: mentre i funerali sono in corso, i vigili del fuoco tirano fuori dalle macerie madre e figlia. Sono morte domenica e solo ieri è stata segnalata la loro scomparsa. Da qualche altra parte, nel centro devastato dell'Aquila, ci sono ancora morti da trovare. Altre lacrime da versare.

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