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Il Papa: "C'è speranza"

Papa Benedetto XVI

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{{IMG_SX}}Giorno di Passione per i cristiani che ricordano il sacrificio di Cristo in croce con addosso i peccati del mondo per la salvezza dell'umanità. Umanità addolorata dalle cose terrene e dell'anima. Venerdì di passione cominciato con i funerali e il pianto per i morti d'Abruzzo e le loro vite spente dal terremoto. Un giorno di cuori stretti che ha trasformato l'attesa della Resurrezione nella Passione del Paese. La coincidenza ha esagerato ogni emozione, al mattino e al pomeriggio. Alla sera. Con gli abruzzesi che hanno seppellito i loro morti, gli italiani davanti alla tv o intorno al Colosseo, fiaccole tremanti, per la Via Crucis con il Papa. Ognuno col pensiero alle bare della disperazione e all'angoscia di chi, all'inizio della Settimana Santa, ha perso quel che non poteva immaginare. Tra i fedeli che aspettano Ratzinger, una sola è la preghiera e vola alle tende degli sfollati senza corrente e senza tv nel giorno della Via Crucis in mondovisione. Pomeriggio di passione in San Pietro con il rito che precede la Via Crucis. Il Papa seduto, di fronte a lui il predicatore della Casa Pontificia, padre Raniero Cantalamessa, che spiega il senso del mistero della morte di Gesù e poi s'interrompe parlando a braccio e voce ferma: ci meravigliamo del male, pensiamo che dipenda dalla distrazione di Dio, e allora in Abruzzo, tra i poveri fratelli dell'Abruzzo, perché le case recenti sono state costruite con la sabbia al posto del cemento? Non è l'unica voce forte che la Chiesa farà sentire nel giorno in cui si celebra il piano di Dio sul suo unico figlio. Non è forte la voce del Papa che parla soltanto alla fine della Via Crucis invitando a pregare con tutti i sofferenti della terra terremotata de L'Aquila, «perché anche a loro, dopo questa notte oscura, appaia la stella della speranza, la luce del Signore risorto». Ai funerali Ratzinger non è andato. Per lui ha parlato il segretario personale. Al Colosseo, all'inizio della celebrazione, una voce fuori campo recita la sua invocazione. Il Papa non porta la croce, appoggiata sulle spalle di laici, disabili, uomini e donne di chiesa. Assiste un po' curvo in ginocchio sulla terrazza del Palatino, risponde con le braccia larghe ai due applausi composti che l'accolgono e lo salutano prima della stretta di mano con il sindaco Alemanno. Il suo discorso viene recitato e lui l'ascolta, il viso un po' meno magro del solito, lo sguardo basso. Mette la parola calamità insieme con quelle di guerre, rivoluzioni e conflitti. Nel giorno della morte che vince sui terremotati d'Abruzzo e sul figlio di Dio, l'anelito è alla speranza e a Cristo «che salva chi non ne ha più». Cominciano le meditazioni che accompagnano ciascuna stazione della Via Crucis. Le ha scritte un vescovo indiano. Ed è qui che la voce della Chiesa si alza di nuovo. Con un costante richiamo alla giustizia sociale, alle responsabilità di chi governa e a quelle dei sacerdoti, ai «Troppi Ponzio Pilato che amministrano la cosa pubblica e noi che possiamo avere avuto la nostra parte in ogni forma di disumanità». Un accenno dovuto a Gandhi e un testo improntato alla dottrina del dialogo interreligioso. Ma soprattutto la denuncia di ingiustizie e di contraddizioni, quelle rotture dell'alleanza con Dio che aprono la via al male. La storia è piena di odio e di guerre, scrive il vescovo, «vi sono anche società incuranti. Cristo probabilmente piange per i loro figli, dovunque vi sia noncuranza per il futuro, attraverso l'uso eccessivo delle risorse, il degrado dell'ambiente, l'oppressione delle donne, l'abbandono dei valori familiari, il mancato rispetto delle norme etiche». Un'ora e mezza di preghiere sul vangelo di Marco e i dettagli delle torture su Gesù. Roma saluta il suo vescovo, silenziosa. L'Abruzzo cerca il sonno che il terremoto gli ha tolto e ha paura che il peggio debba ancora arrivare. La Chiesa ha dato la sua consolazione. Domani è Pasqua.

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