Napolitano: "Serve un esame di coscienza collettivo"
{{IMG_SX}} Non c'è più il Palazzo della Regione, né la Prefettura. Stessa sorte per il Palazzo del Comune, la Banca d'Italia, e gli uffici dell'Anas. Tutte le sedi che rappresentano lo Stato, qui a L'Aquila, non ci sono più o comunque non sono più agibili. Eppure, nel capoluogo abruzzese, duramente messo alla prova dal terremoto di domenica notte, lo Stato c'è, eccome. Lavora ininterrottamente da quattro giorni. Il presidente della Repubblica fa questa riflessione ad alta voce, incontrando il capo della Protezione Civile Guido Bertolaso nella scuola della Guardia di Finanza di Coppito, a 15 chilometri da L'Aquila. Giorgio Napolitano parla con il commissario straordinario in macchina, appena arrivato sul luogo della tragedia. Tra i due c'è un breve briefing tecnico, in cui Bertolaso dà al Capo dello Stato il quadro della situazione: numero aggiornato delle vittime, persone salvate da sotto le macerie, numero complessivo degli sfollati, misure finora intraprese. Bertolaso parla e più di una volta Napolitano sgrana gli occhi, è sbigottito da quelle cifre messe nero su bianco e che indicano l'entità della tragedia. La giornata del presidente della Repubblica in Abruzzo comincia con l'omaggio alle salme. Nell'hangar del dolore ci sono 275 bare (salite a 281 nel pomeriggio) allineate, in attesa dei funerali che si svolgeranno oggi. Napolitano entra da solo, e quasi in punta di piedi. Trova un sacerdote e alcuni scout in preghiera. Si sofferma qualche minuto in raccoglimento, osservando quel terribile spettacolo di morte che dà visivamente l'immagine del dolore provocato dalle scosse di questi giorni. Ci sono le bare bianche, Napolitano le osserva con grande commozione. Rimane colpito da una bara sulla quale ne è appoggiata una piccola bianca: lì ci sono una mamma e la sua bambina. Quando esce nel piazzale antistante l'obitorio il Capo dello Stato è provato. Da quello che ha visto, dalla sofferenza dei tanti familiari raccolti accanto ai loro morti, dalle storie che qualcuno di loro gli ha voluto raccontare. Una coppia di anziani si presenta a lui stringendo forte un ragazzo e dicendo: «Presidente, solo questo ci è rimasto». Napolitano usa per tutti parole di grande cordoglio, e di vicinanza in un momento così difficile. «Sono persone che soffrono - racconta Napolitano nella conferenza stampa al termine del sopralluogo -. Ma lo fanno con grande dignità e compostezza». Visita la casa dello studente, nel centro della città, uno degli edifici con il maggior numero di vittime. Poi Onna, la frazione aquilana completamente rasa al suolo. Napolitano ringrazia i Vigili del fuoco per il loro straordinario lavoro, «uno sforzo di efficienza e generosità straordinaria nell'ambito dell'organizzazione dello Stato e della mobilitazione dei cittadini». Quando arriva ad Onna, Napolitano guarda quel che resta del piccolo paesino. Cammina tra le macerie nel totale silenzio del borgo fantasma. Uno scenario in cui Napolitano vive come degli intrusi i tanti fotografi presenti per immortalarlo nel paesino emblema del terremoto. E lui si infastidisce: «Non sono venuto qui per farmi fotografare. Fatevi da parte, non rompete». Per il Capo dello Stato una breve visita anche al campo San Demetrio, una delle tante tendopoli allestite nell'aquilano: 50 tende, 600 persone ospitate. Si ferma per qualche istante anche alla mensa e al posto medico. Parla con alcuni sfollati, con i volontari, con le Forze dell'Ordine. È quasi l'ora di pranzo quando, poi, rientra alla caserma di Coppito. «Credo che si possa dire che molto è stato fatto», spiega incontrando i giornalisti. Torna ad elogiare il lavoro dei Vigili del fuoco e della Protezione Civile. Apprezzamenti per l'azione del governo (dagli ultimi sondaggi post terremoto Berlusconi sarebbe al 76%) e la solidarietà da parte di tutti. Ora, insiste Napolitano, «bisogna pensare al dopo», a come cioè far tornare le migliaia di sfollati ad una situazione quasi normale, dando loro innanzitutto una casa. Non importa stabilire se vi sia o no un colpevole. «Serve un esame di coscienza da parte di tutti, nessuno è senza colpa», dice. Ciò che serve, però, non è «battersi il petto». E bando anche alle «fantasiose profezie» (riferimento alle previsioni del ricercatore Giuliani). «La cosa importante - insiste - è far sì che queste cose non accadano più».