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Così io e Alessia ci siamo salvati

Alessia e Giancarlo Zanardelli

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È grande e grosso, con due braccia grandi così, con un torace largo come un armadio. Ma ha l'aria di un pacioccone e lo sguardo buono. Sa che ora deve raccogliere tutte le sue forze per ricominciare da zero. Tutte le sue forze, così come ha fatto domenica notte per liberarsi dalle macerie. Deve farlo per la sua famiglia, per sua figlia Alessia, 17 anni, che «a scuola - dice - prende tutti nove. È sveglia. Non voglio che quello che ha passato la rovini. Dovreste vederla quando serve al bancone del bar». E gli occhi vispi di Alessia confermano che darà ancora tante soddisfazioni ai suoi genitori. Quando il terremoto è passato su Villa Sant'Angelo, Giancarlo Zanardelli stava per svegliarsi. Si sveglia alle quattro. Domenica notte ha dormito in un lettino accanto a sua figlia nell'ala esterna della casa, al piano terra. Sua moglie Andreina e il figlio Lorenzo si sono coricati nella stanza matrimoniale al primo piano. Giancarlo ricorda tutto nei minimi particolari e si considera un miracolato. La sua famiglia è salva. Nessuno s'è fatto male. Lui e Alessia, rimasti sotto le macerie per 5 ore, hanno riportato solo qualche graffio. Giancarlo ricorda tutto nei minimi particolari, ma dice che è difficile descrivere il terremoto. «L'ho sempre visto in televisione e credo di averne sempre sottovalutato la potenza. Ora mi rendo conto di cosa si provi. Più che la distruzione è il fragore che ti rimane impresso. È la paura. Non so spiegarlo. È come se ti arrivi addosso qualcosa di enorme. Ho provato questa sensazione per un momento, ma credo che non potrò dimenticarla. La prima cosa che ho sentito è stato un boato». Giancarlo alza le mani davanti al petto nel gesto di afferrare un pallone ed emette un suono profondo, gutturale. «Una cosa così. Potente, come una bestia. Sono stati un paio di secondi, giusto il tempo di sollevarmi dal letto. Poi m'è crollato tutto addosso. Non sono riuscito nemmeno a girare lo sguardo verso Alessia». Casa di Giancarlo non è crollata. Padre e figlia sono stati sepolti dalle pietre e dai calcinacci dell'abitazione accanto. «Era una casa vecchia - spiega Giancarlo - e per fortuna era disabitata». Suo figlio Lorenzo, 21 anni, è saltato dal balcone del primo piano. Ha fatto un balzo a piedi nudi da quasi cinque metri d'altezza e s'è messo a correre - racconta il padre - mentre le altre case gli crollavano accanto. Poi s'è dovuto fermare. Le macerie l'hanno bloccato in mezzo a un vicolo. È rimasto intrappolato per molto tempo. Ha corso scalzo sui chiodi, le lamiere, i sassi. C'ha i piedi martoriati, ma per il resto sta bene». Anche Andreina, sua moglie, è saltata dal balcone. Ma è saltata dalla parte opposta del figlio, proprio sulle macerie che coprivano Giancarlo e Alessia. «E questa è stata pure la nostra fortuna, perché è stata lei ad aiutarmi a tirar fuori le gambe». Giancarlo dice di aver chiesto a sua moglie di liberare prima lui, così, in due, avrebbero aiutato Alessia. Il suo racconto è impressionante e gli dà ragione quando ribadisce: «Io e Alessia siamo due miracolati». Lui e sua figlia avevano sulle gambe 50 metri cubi di roccia, ma nonostante questo non hanno riportato ferite. Solo qualche graffio. Giancarlo tira i pantaloni sopra il polpaccio - grosso e muscoloso come un prosciutto - per mostrare le escoriazioni. Ma Alessia, a differenza di quel gigante del papà, ha una corporatura normale. Lamenta solo un dolore all'anca, ha qualche livido ma niente di più: «Mi hanno fatto delle punture per questo dolore - dice - e ora sto meglio». Giancarlo spiega la dinamica del crollo: «Siamo stati salvati dall'armadio. Una grossa trave si è appoggiata con un'estremità al mobile e l'altra vicino alla mia testa, in linea con me e Alessia, e ci ha protetto dal crollo. Alessia, che era accanto a lui, è rimasta sempre lucida e ha visto e sentito prima il padre che tentava di liberarsi da solo, poi sua madre aiutarlo. «Quando la casa accanto c'è cascata sopra - racconta Alessia - ho sentito un rumore simile a quello che fanno i camion quando scaricano la breccia». «Sì, ma moltiplicato tre volte», precisa Giancarlo. «Poi, al buio - riprende Alessia - sentivo le pietre spostarsi e pezzi di legno che si spezzavano. Poi papà m'ha detto che era lui che tentava di liberarsi». Giancarlo spiega che è riuscito a spezzare le travi più piccole con le mani, ma che comunque, senza sua moglie, non ce l'avrebbe fatta a uscire da lì». La famiglia Zanardelli deve però ringraziare anche tre ragazzi del posto. Sono stati i primi a intervenire. Hanno aiutato per tirare fuori Alessia e li hanno fatti uscire con una scala. «Io ho fatto il possibile - dice Giancarlo - ma quando mia moglie mi ha tirato fuori non riuscivo a muovere le gambe. Erano comppletamente atrofizzate. Non le sentivo più. Non riuscivo neanche a salire sulla scala. Per questo devo ringraziare Pino, Giulio e Luca. C'è un'altra cosa, però, che voglio dire. Forse è una stupidaggine, ma per me è stato così umiliante. Mi sono dovuto fare la pipì addosso. Non mi era mai successo. Doverla fare e non potersi muovere. Comunque... - Giancarlo sorride un attimo e torna subito serio - ora ci sono problemi più importanti». Ripartire da zero. «Le banche sono chiuse. Sono senza soldi. Casa è inagibile e bisognerà ricostruirla. La macchina è distrutta e non ho nemmeno panni puliti per cambiarmi. Il forno dove lavoravo ha subito danni molto gravi. Ma noi quattro siamo vivi... e questo basta per ricominciare.

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