Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Le paure dei bimbi: "S'aprirà una voragine e m'ingoierà"

Terremoto in Abruzzo, alcuni bambini giocano a San Gregorio.

  • a
  • a
  • a

Alessandro si accontenta di un vecchio pallone bianco e dribbla sedie, picchetti e tende ancora da montare prima di regalare un assist da Champions League al cuginetto. Lunedì era il suo compleanno, l'undicesimo, e naturalmente Alessandro non l'ha potuto festeggiare. C'era altro a cui pensare. E c'era la paura di quella scossa terribile da digerire, da metabolizzare, da dimenticare, se possibile. E per ora non lo è. Lui e i genitori hanno dormito in macchina. Poi, ieri mattina, è stata allestita la tendopoli di Tempera, a pochi chilometri dall'epicentro e a una manciata dall'Aquila, e la famiglia si è trasferita qui al completo da San Giacomo, uno dei tanti piccoli centri urbani della provincia. Nelle grosse case di tela blu, almeno, non c'è il rischio di restare sepolti dalle macerie e la notte si può riposare.  È con il buio, infatti, che il terrore torna a visitare Alessandro e gli altri piccoli sopravvissuti al terremoto. I bambini hanno capito, i padri non hanno mentito, non hanno inventato storie. «Mi sono sforzato di far vedere che non avevo paura e basta. Anche ai più piccolini non si può nascondere la verità», spiega Gino, 67 anni. «Ogni volta che la terra trema, mia figlia piange. Ieri ha pianto tutto il giorno. La notte della grande scossa siamo rimaste a letto fino a quando non si è esaurita, non ho avuto il coraggio di uscire. L'ho stretta forte forte a me e forse proprio per quello si è spaventata di più...», racconta Monica, la madre di Francesca, 9 anni. «Io stavo nella mia stanza a dormire e la scossa mi ha svegliato di botto - ricorda il sedicenne Mattia - La porta è rimasta bloccata dalla tv e da un mobile, la luce non si accendeva. Non sapevo come fare. Alla fine ho tirato forte e sono riuscito a scappare». Marco, sette anni, la notte dopo non è riuscito a prender sonno: «Tutti avevano l'ansia che ne arrivasse un altro grosso come quello, e forse anche di più», spiega. Nell'accampamento, accanto ai figli, c'è anche Fortunato, di nome e di fatto. Ha 46 anni e insegna al Convitto Nazionale, dove tre ragazzi hanno perso la vita e quattro sono stati estratti ancora vivi dalla massa di calcinacci e mattoni piombata sopra le loro teste: «Ho sentito un boato, mi sono alzato subito dal letto e, un secondo dopo, il soffitto è venuto giù - dice, ripercorrendo le fasi di quello che è stato quasi un miracolo - Ho cominciato a bussare alle varie stanze. Non rispondeva nessuno. Così ho sfondato con un calcio la porta di una camera, ho fatto un passo e...sono precipitato dal terzo al secondo piano. Per fortuna, sotto c'era un materasso che ha attutito il volo e mi sono soltanto ferito ai piedi, che erano scalzi. In un'altra stanza c'erano due studenti - continua - e sono uscito fuori dalla scuola con loro». Ma ci sono altre due cose che «devo scrivere», prosegue Fortunato. «I soccorsi non sono arrivati presto, come avrebbero dovuto e Bertolaso, quando è venuto qua un paio di settimane fa, ha detto che avevano già allertato tutti per ogni evenienza. Invece, così non è stato. Non voglio fare polemica, ma è la verità. Come è vero - conclude - che al Convitto è intervenuto un vigile del fuoco, Marco D'Onofrio si chiama e vorrei che pubblicasse il suo nome. Marco ha scavato anche a mani nude, ha sollevato travi e si è ferito con la roba che cadeva dal soffitto senza risparmiarsi un attimo». A pochi chilometri da Tempera, nella tendopoli di Paganica, un gruppo di psicologi trentini sta allestendo una tenda-ludoteca. «Bisogna farli giocare i bambini, perché la comunicazione verbale e diretta è più complicata - consiglia uno del team, Marco Gradassi - Noi partiamo da loro anche per arrivare agli adulti, che possono trasmettere ansia ai figli». Già, gli adulti. Spesso i problemi dei piccoli sono proiezioni delle angosce dei grandi. A Paganica c'è un diciassettenne che vive un incubo ad occhi aperti. Di lui parla un altro giovane psicologo, Massimiliano Rossetti, venuto ingenuamente da Brescia con l'idea di scavare tra le macerie e «arruolato» come volontario nel campo abruzzese. «Ha subito un trauma, è dovuto uscire di casa facendo le scale che cadevano a pezzi e ora è convinto che si aprirà una crepa nel terreno e che la voragine lo ingoierà. Dice che lo ha visto in un film - racconta Massimiliano - Ma credo che sia sbagliato dirgli semplicemente che non può accadere, che qui è al sicuro. Lo spavento è come un lutto, bisogna elaborarlo. Non serve negare o minimizzare. Il fatto è che il papà di questo ragazzo, però, è più angosciato di lui. E forse è proprio questo il problema».

Dai blog