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L'Aquila, fotografia di una città spettrale

La cupola della Basilica di Santa Maria del Suffragio, conosciuta come la Chiesa delle Anime Sante, distrutta dopo l'ultima forte scossa di terremoto a L'Aquila

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{{IMG_SX}}Una città svuotata. Violata come dopo una guerra. E silenziosa. Angosciosamente silenziosa. Il giorno dopo la grande paura L'Aquila è ancora più surreale. Carabinieri, polizia, vigili del fuoco hanno completamente isolato il centro storico, alle quattro del pomeriggio nel cuore del capolugo abruzzese ci sono solo uomini in divisa, giornalisti, fotografi e operatori tv. Nessun altro può passare. Neppure per andare a recuperare qualcosa dentro casa. Troppo pericoloso. Passeranno settimane prima che i tecnici riescano a ispezionare tutte le case e decidere se far rientrare le famiglie oppure tenerle fuori. Entrando da Porta Castello, alle spalle della chiesa di San Bernardino, si sente solo lo scricchiolio dei passi sopra sopra i frammenti di cornicioni, tegole, infissi e intonaci che si sono staccati e hanno invaso le vie. E come sottofondo un suono di sirene di allarmi che suonano senza sosta. Negozi sbarrati, case deserte, chiuse alla buona prima di scappare via. Il terremoto ha colpito senza una logica, ci sono palazzi antichi rimasti intatti e palazzine più moderne squarciate. Basta girare l'angolo e la scena si capovolge: gli edifici storici si sono sbriciolati, quelli nuovi non hanno neppure una crepa. L'opera di un pazzo che si è divertito con il destino di una città. Si scende verso corso Vittorio Emanuele, il corso dell'Aquila, il salotto buono della città che sfocia al Duomo. Il centro della piazza è occupato dalle tende dello Smom, a poche decine di metri c'è il palazzo di giustizia e la prefettura completamente distrutti. Ieri mattina alle 11,30 una scossa di terremoto ha fatto di nuovo scappare militari e carabinieri che stavano montando le tende, dai tetti sono piovuti ancora calcinacci, intonaci, tegole. In serata la nuova scossa delle ore 19.43 ha fatto crollare la Basilica delle Anime Sante. Eppure dall'alto L'Aquila non sembra una città così ferita. Dall'elicottero i tetti sono intatti, le cicatrici del sima invisibili. Bisogna sorvolare Onna per capire cosa vuol dire un paese cancellato dalla carta geografica: in piedi non è rimasto nulla, una pianura di macerie. Dal Duomo si scende ancora tra vicoli ingombri di detriti e si arriva a via XX Settembre, la strada dove c'è la casa dello Studente. Alle sei di ieri pomeriggio i vigili del fuoco hanno isolato tutta la zona per far esplodere delle microcariche e farsi così strada all'interno del palazzo. Sotto ci dovrebbero essere ancora quattro persone. Da fuori il palazzo è inclinato su un fianco, la parte posteriore è completamente crollata, dal tetto fino al piano terra. Gli squarci sulla facciata lasciano vedere le stanze, un armadio, un comodino. E svelano i materiali con cui è stato costruito il palazzo: uno strato di foratini sottile come un foglio. Un parete che alla prima scossa è saltata via. Ma di strutture così, dove di cemento armato e ferro non c'è neppure l'ombra, ce ne sono tante. Sono le case più nuove e quelle che hanno resistito di meno. Le facciate sono bucate come se fossero state colpite da colpi di cannone, una Sarajevo senza la guerra. E ci si dovrà chiedere come mai in piena zona sismica si siano costruiti edifici come questi. Alle spalle della Casa dello Studente, in piazzale Pasquale Paoli, una palazzina di quattro piani si è letteralmente afflosciata staccandosi dal resto dell'edificio al quale era attaccata: 21 morti e 3 sopravvissuti. I vigili del fuoco lì scavano da due giorni ininterrottamente. E non si fermeranno fino a quando non saranno sicuri che sotto le macerie non è rimasto più nessuno. È andata meglio a Marta, una ragazza ritrovata dopo 23 ore sotto una casa in via di Sant'Andrea: una trave le ha fatto da riparo e l'ha salvata dal peso dei detriti. Ma soprattutto a Eleonora, circa 20 anni, ha resistito per 42 ore sotto le macerie di una palazzina di 4 piani a La Gioia.

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