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"Quel boato senza fine mentre la casa crollava"

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Non ho più nulla, neanche un foglio di carta, una penna per scrivere. Parlo a braccio, con i ricordi che mi si affollano nella mente, a chi mi sta ascoltando al telefono. Non ho più nulla, ma sono viva; con mio figlio, mia madre e mia sorella, che aspetta un bambino. In questo momento il mio mondo ha un'altra prospettiva, dolorosa e mutevole. Io racconto, ma non so dove dormirò nella notte che sta arrivando, né lo sanno i miei cari. Siamo in un campo per sfollati a Paganica, accuditi con amore e buona volontà, ma questo non cancella la sofferenza. Né il timore che i viveri e l'acqua, come è accaduto, possano finire in qualsiasi momento. Per poi avere altro rifornimento. I ricordi, quelli non finiscono, passano e ripassano, incatenati al rumore di quel boato che sembrava non dovesse smettere mai. Lungo, terrificante. I pezzi di calcinacci ci cadevano in testa, la casa che tremava. Io e mio figlio ci siamo rifugiati sotto il letto, il primo riparo possibile. La luce è andata via. In quel momento ho avuto davvero la sensazione di precipitare nel buio. Reale e metaforico. Abbiamo provato ad attraversare il corridoio, che in trenta secondi si è riempito di detriti. Scappare, l'unico pensiero era scappare, ma la porta di casa non si apriva. Una trappola. Abito, abitavo, al piano rialzato di un palazzo vicino alla Villa comunale. Ora lo so, ne sono convinta, ci siamo salvati così, saltando dalla finestra. Non chiedetemi ora cosa ho pensato allora: semplicemente, forse, a trovare un posto all'aperto, lontano dal pericolo. E a mia madre, nella sua casa di Assergi, pochi chilometri e una distanza incolmabile. E a mia sorella. Un palazzo ci si è sgretolato sotto gli occhi, una frustata di terrore assoluto che ci ha lasciati senza fiato. Quando siamo arrivati alla Villa abbiamo sperimentato il primo sospiro di solidarietà: il Grand Hotel ha messo a disposizione coperte e oggetti di primo supporto. Quando mi sono trovata tra le mani un paio di pantofoline di carta mi sono accorta di essere scalza, e in pigiama. Mio figlio, avvolto in un plaid, seminudo. Il consigliere regionale Gianfranco Giuliante ci ha offerto posti in auto. Abbiamo accettato, con gratitudine. E con la sensazione di una tragedia senza confini. Ho ripreso a pensare a mia madre, ai suoi anni faticosi, a mia sorella e alla sua gravidanza. Quando le ho viste arrivare, scivolando tra le aiuole della Villa, ho capito quanto sia importante non smettere mai di sperare. Mi sono rialzata tante volte nella vita, so che posso farcela, ma mentre guardo la devastazione fuori dal finestrino della macchina mi rendo conto che stavolta sarà veramente dura. Facciamo un giro, paesi rasi al suolo, case che non ci sono più. Anche casa mia è così. Mi accorgo di non avere neanche più il telefonino. Parlo da un numero che non è il mio, l'unico contatto con il mondo. Cerco, aiuto gli altri a cercarci. Ora sta scendendo la sera, non so dove dormirò, ho intorno persone come me. L'unico legame con il resto del mondo, quello che non trema, è questo telefonino, con la batteria che si sta scaricando.

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