Dentro l'incubo alle porte dell'Aquila
La paura ha preso forma e ci avvolge mentre si cammina per queste strade ingombre di macerie. Le prime luci dell'alba trovano uomini e donne vestiti alla bene e meglio, avvolti in coperte a riscaldarsi lungo le strade, in aperta campagna, davanti a bracieri improvvisati. I più anziani, le donne con i piccoli in braccio trovano riparo nelle auto parcheggiate lungo le strade che sfilano dai paesini distrutti. Il cielo vira al rosso e gli effetti devastanti del sisma iniziano a vedersi in tutta la loro drammaticità. Le case sembrano afflosciate una sull'altra. Enormi voragini tra muri sbrecciati e calcinacci che ingombrano le strade. Lenzuola ancora stese ai balconi che penzolano pericolosamente sulle viuzze ormai deserte. La scossa, quella terribile che ha pugnalato al cuore la provincia dell'Aquila, c'è stata alle 3.32. Prima la fuga stentata dalle case che tremavano e venivano giù, e ora la sofferenza di vedere tanta rovina illuminata dall'albeggiare. «Si è spallato tutto - piange e si dispera Anna Eletta Pietrangela, 81 anni, sopravissuta in quel di Colle di Roio - tutti i mobili so' caduti. Le mura crollavano. Tremo ancora». Più in là altri due anziani avanzano tra pietre e massi che ormai bloccano la strada. Due coperte in testa, vengono accompagnati fuori dal paesino. Ferdinando tenta invano di portare fuori le vacche dalla stalla. Due tornanti più in basso c'è l'altra frazione di Piano di Roio. Qui i danni sembrano contenuti ma basta inoltrarsi nelle strette strade ed ecco apparire lo squarcio. Il centro del paese è tutto crollato. Lesioni ovunque. E più avanti, dove quello che fino a domenica sera era il corso del paese, sfocia dalla strada provinciale un crocchio di gente: piange la morte di due compaesani. La loro casa sembra intatta ma i due agenti della Forestale che per primi sono accorsi scuotono la testa: «Gli è crollato addosso il tramezzo mentre dormivano. Non hanno avuto scampo». La provinciale è ingombra di auto. Tutti sono fuggiti e aspettano notizie. I cellulari sono la loro coperta di Linus: uno squillo vuol dire che il parente, l'amico è vivo. Gli alberi di mele in fiore e le montagne innevate non riescono a far ritornare serenità in queste anime perse sfuggite al sisma dopo un inseguimento di giorni. «È da dicembre che ci sono scosse - dicono mentre cercano tepore stringendosi l'un l'altra due signore - Ieri altre due prima di mezzanotte. Ecco che è successo». Poggio di Roio è immerso in un silenzio surreale. Ormai è mattino ma laggiù in fondo a quella che una targa finita in terra ricorda fosse via Padre Sfarra, in quella che doveva essere via Artistica, uomini in divisa e civili sono chini su un cumulo di macerie. Sotto una coppia sorpresa nel sonno. «Aiutatemi. Aiutatemi», una voce flebile si alza dai massi accartocciati che un tempo erano una casa. Giuseppe Dicembrino, maresciallo dell'Aeronautica in pensione e sua moglie Piera sono intrappolati nel letto. Il tetto della loro casa si è adagiato sopra. Un infermiere del 118 è lì accanto con una flebo in mano. Era fuori servizio, è corso dove c'era bisogno. Così Paola Bernardi, la tuta da Pioniere della Croce Rossa indossata sul pigiama. Al lavoro i vigili del fuoco con martelli pneumatici, trapani e divaricatori. Una squadra della Forestale aiuta come può a mani nude. C'è anche un tenente degli Alpini del gruppo ricognitori. Piera ansima sotto il peso del cemento armato, respira più a fatica. Lo sforzo dei soccorritori è sovrumano. Un'altra scossa coglie tutti al lavoro. Un attimo. Nessuno lascia il lavoro. Solo un attimo e si riprende a trivellare per aprire un varco. La donna viene sollevata dalle spalle e tirata su. È tardi. Non ce l'ha fatta. Il volto bianco, terreo, le braccia inerti. Pietosamente coperta e portata via in barella da infermieri e Forestali tra la distruzione mentre tutto intorno l'odore acre di gas si fa più intenso. «Ahi. Ahi. Dio mio, Dio mio». Giuseppe continua a lamentarsi. «Buon segno», sospira l'infermiere, vuol dire che resiste alle fratture e non è ancora collassato». I vigili del fuoco non demordono. Si danno il cambio. Aggrediscono le macerie con ogni mezzo. «Erano ormai di paese - spiega uno dei volontari che aiuta a passare le attreazzature ai pompieri - Sono di Roma ma ormai da anni venivano qui. Si erano integrati. Ieri sera dopo la prima scossa sono venuto a bussare, non mi hanno risposto e ho pensato che fossero andati via. Dovevo insistere....», si rammarica con gli occhi lucidi. Una, due ore di lavoro. Alla fine ecco le braccia di Giuseppe che si alzano fuori dal buco. Viene adagiato su una barella. Poi una catena umana di volenterosi si passa il peso del ferito attraverso la distruzione verso l'ambulanza. Un pianto sommesso arriva da dietro. Un agente della Forestale non riesce a trattenersi: «Erano vivi tutti e due quando siamo arrivati e lei non siamo riusciti a salvarla». Un'altra tragedia ha colpito il Corpo forestale. L'agente scelto Luigi Giugno, 35 anni, è morto sotto le macerie della sua casa al centro de L'Aquila con la moglie Giovanna incinta e il figlioletto Francesco di due anni. Lo hanno trovato scavando per ore i colleghi che erano venuti a cercarlo perché non si era presentato e il suo telefono non squillava. È giorno fatto. Gli elicotteri volano basso sul «presepio» distrutto. Restano in overing sulle case crollate come mazzi di carte. Lungo le strade si snocciolano le colonne dei soccorsi. Vanno verso la piana dove ci sono altre frazioni del capoluogo colpite a morte. Odore di morte a Onna, Paganica, San Demetrio. I cadaveri allineati nel prato dietro quello che era il centro abitato di Onna: case «bombardate» dal sisma. «Gli edifici ballavano. Erano giorni che tremava tutto ma nessuno ci ha detto di stare attenti. Di lasciare le case. Ieri ci sono state due scosse, perché in televisione invece di tutte quelle cazzate non hanno fatto un avviso?», piange e si dispera Pio Broglia con braccio rotto e testa ferita. Piange la sorella rimasta sotto le macerie della loro casa a Onna. Non resta in piedi nulla e le ruspe fanno poca fatica a buttare giù quello che resta. Paganica ci accoglie con la chiesa dell'Assunta aperta in due. La strada che taglia in due il paese graffiata da un solco: il segno del terremoto che ha ferito questo angolo di presepe italiano.