E in questi giorni lo si è visto bene.

Pugnodi ferro in guanto di velluto. È così sapiente e avvolgente quel suo modo di parlare, di raccontarsi e avvolgere la platea anche quando dice esattamente l'opposto di quello che gli si vorrebbe sentir dire, che ha giocato un ruolo da protagonista senza concorrenti negli incontri di questi giorni. Inutile negarlo lui parte in vantaggio. Nemmeno da lontano George Bush poteva competere con la sua eloquenza, il suo approccio, la sua capacità di trasformare le platee in veri fan club e di affrontare temi sgradevoli trasformandoli in dolorosi problemi comuni da condividere. Obama in questi giorni è stato apprezzato per quella che è stata definita «la fine dell'approccio arrogante dell'America». Verissimo. A Londra ha riportato in scena un modello politico costruito sull'idea di guidare attraverso il buon esempio e non l'arroganza, ha parlato di umiltà, eppure mai, nemmeno per un secondo ha messo in discussione il fatto che l'america debba essere il leader del mondo, il faro della comunità internazionale. Su questo non c'è discussione. Però vale la pena di ricordare un precedente. Persino Bush all'inizio del suo mandato aveva detto cose simili. Era la campagna elettorale del 2000, nel dibattito di ottobre con Al Gore Bush afferma "se ci comporteremo da nazione arrogante avranno del risentimento verso di noi se saremo una nazione umile, ma forte, ci daranno il benvenuto". Solo che poi c'è stato l'undici settembre. L'America non è più stata la stessa e una politica estera arrogante, dura e unilaterale ha segnato una frattura insanabile con gli alleati europei, Francia in testa. Troppi errori, troppi interessi privati, troppi gruppi di potere hanno orientato l'azione di Bush. Ma su una cosa forse è il caso di intendersi e l'Europa inizia a capirlo. Obama non e' una rock star da live aid, forse ne ha l'allure, il fascino, lo stile, ma è il Presidente degli Stati Uniti d'America e quando in ballo ci sono gli interessi americani tutto il resto, forse giustamente, scompare. Lo ha capito bene, a sue spese, il presidente francese Sarkozy che dopo una due giorni di moine e gentilezze incrociate si è trovato a dover dire chiaro e forte a Obama di non mischiarsi in cose che non lo riguardano dopo che il presidente USA ha detto più volte di appoggiare l'ipotesi di entrata della Turchia in Europa. Lo hanno capito anche i ministri della giustizia europea che adesso dovranno fare i conti con la patata bollente dei detenuti Guantanamo di cui Obama vuole liberarsi molto in fretta anche se, di fatto, per noi costituiscono un problema. E se ne sono dovuti rendere conto in fretta tutti i membri della Nato di fronte all'esplicita richiesta di un incremento di truppe e coinvolgimento in Afghanistan quando nessuno degli alleati è in grado di modificare sostanzialmente il numero di uomini sul terreno. Per questo quando lo stesso Obama chiederà alla NATO di avere un americano al comando delle operazioni, nessuno avrà la forza politica di negarglielo. Per tutto questo Obama si prepara ad andarsene dall'Europa in modo un po' diverso da come è arrivato. Adesso che è dovuto scendere sul piano dei discorsi concreti anche chi si è illuso che alla Casa Bianca ci fosse forse un Presidente "un po' meno Americano" ha provato una delusione cocente. E per paradosso è proprio quest'illusione incrinata che di qui dall'oceano provoca un effetto del tutto opposto. Monica Maggioni