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Mario Chiesa in cella diciassette anni dopo Tangentopoli

Un'immagine d'archivio di Mario Chiesa (1992) fortemente legato all'inchiesta di Mani Pulite della magistratura di Milano degli anni '90

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{{IMG_SX}} Bettino Craxi lo definì «un mariuolo». Il figlio Bobo, «un mascalzone» e «un idiota» che si era fatto «prendere con le mani nel sacco». Martelli lo chiamò senza tanti giri di parole «ladro» e aggiunse che «non poteva sporcare l'immagine di un intero partito», come invece poi accadde. E nel palazzo comunale di Senigallia ancora oggi è esposta a scopo «educativo» la sua famosa, anzi famigerata, valigetta, un tempo preziosa custodia di «tesori» provenienti da valanghe di mazzette. Il suo nome è rimasto talmente legato a Tangentopoli che il colonnello dei carabinieri Michele Sarno, responsabile dell'operazione «Rewind» (cioè ritornare indietro, riavvolgere il nastro, battezzata così in suo onore), ha spiegato: «Siamo rimasti stupiti quando dalle intercettazioni telefoniche abbiamo capito di aver davanti un personaggio che ha fatto un po' la storia d'Italia». Probabilmente è vero anche questo, com'è vero che Mario Chiesa da quella storia non ha imparato molto. Ieri, infatti, a 17 anni dall'inchiesta «Mani Pulite», ai polsi dell'ex presidente del Pio Albergo Trivulzio di Milano sono di nuovo scattate le manette. Pesanti le accuse contro di lui: associazione per delinquere finalizzata all'attività organizzata per il traffico e la gestione illecita di rifiuti, truffa aggravata ai danni di società pubbliche e private. Per i carabinieri del Noe di Treviso e per i magistrati della procura di Busto Arsizio, che hanno condotto le indagini ed emesso otto ordinanze di custodia cautelare in carcere, due ai domiciliari, indagato 27 persone e posto sotto sequestro preventivo beni per 50 milioni di euro, Mario Chiesa amministrava attraverso la moglie la Servizi Ecologici Milano (Sem) e truccava gli appalti di assegnazione dello smaltimento dei rifiuti, «girando» i lavori alla «Solarese srl». In molti casi, però, questa non faceva il suo dovere. Le terre di spazzamento stradale di competenza della società non venivano trattate ma era assegnato loro un falso codice, a differenza da quello prescritto dalla legge, ed erano avviate per lo smaltimento in discariche del Pavese, del Bresciano e del Cremonese. Il giro d'affari era di circa due milioni di euro. Sempre in base all'inchiesta, Chiesa avrebbe controllato le gare d'appalto, vincendo puntualmente al ribasso. M a non lo faceva per generosità. In seguito, avrebbe recuperato con gli interessi il denaro non guadagnato, facendo appunto figurare molti quintali di materiale al di sotto di quelli realmente smaltiti e certificando servizi erogati e mai eseguiti. In questo modo il costo finale lievitava del dieci per cento. Per ricambiare chi partecipava al sistema, distribuiva a larghe mani buoni per benzina, pasti e articoli d'abbigliamento. Oltre alla seconda consorte di Chiesa, della Sem faceva parte anche il figlio di prime nozze dell'ex presidente del Pio Albergo Trivulzio, mentre un altro figlio era dipendente della Solarese. L'ex «mariuolo» di craxiana memoria è stato prelevato ieri nella sua casa milanese e portato in caserma. Mentre sorseggiava un caffè, un ufficiale dell'Arma gli ha notificato il provvedimento restrittivo. Ma a San Vittore non è stato chiuso in una cella perché, dopo aver valutato le condizioni di salute del sessantacinquenne neogaleotto, i medici lo hanno spedito nel centro clinico del carcere meneghino. L'uomo che avrebbe voluto diventare sindaco della «Milano da bere» degli Anni '80 salì agli onori della cronaca il 17 febbraio 1992. Alle quattro e mezza di quel pomeriggio i carabinieri fecero irruzione nel suo ufficio e trovarono una mazzetta di sette milioni di lire che si era fatto dare dall'imprenditore Luca Magni. «Questi soldi sono miei», disse lui a militari. «No, dottore, sono nostri», replicò il capitano Zuliani, che aveva «segnato» i numeri di serie delle banconote. In carcere rimase cinque settimane, si fece sei mesi ai domiciliari e, avvalendosi di riti alternativi, evitò processi pubblici e venne condannato a 5 anni e 4 mesi di reclusione. Restituì sei miliardi di lire e dieci e mezzo vennero trovati in un conto corrente. «Questo arresto esprime la continuità delle tangenti», ha detto ieri Di Pietro. «Mani Pulite ha fallito il colpo», ha commentato il segretario del Pri Nucara. Ma, polemiche a parte, su una cosa certamente l'ex pm ha ragione: il «mariuolo» non ha «capito la lezione».

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