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Pd in ordine sparso: Franceschini sotto attacco

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Dario Franceschini

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Ma non solo. Al termine della giornata l'Aula di Montecitorio ha discusso anche alcuni ordini del giorno. Uno di questi, in particolare, ha attirato l'attenzione dei presenti. Il primo firmatario dell'odg, infatti, era il segretario del Pd Dario Franceschini (accompagnato dal capogruppo Antonello Soro e dai vicecapigruppo Marina Sereni e Gianclaudio Bressa). Ciò nonostante l'esecutivo ha dato parere favorevole. Il testo? «La Camera impegna il governo a sollecitare e a favorire un confronto fra la maggioranza e l'opposizione presente in Parlamento volto, nel pieno rispetto dell'autonomia delle Camere, a promuovere in tempi rapidi una riforma della seconda parte della Costituzione». Il tutto, ovviamente, partendo dalla «bozza Violante» discussa nella XV legislatura. Una richiesta che ha subito trovato terreno fertile all'interno di Pdl e Lega. Peccato che, quando tutto sembrava concorrere al bene, Franceschini abbia fatto un passo indietro. La versione ufficiale, recitata anche ieri davanti ai giornalisti della stampa estera, spiega che «Le riforme costituzionali sono una necessità per il nostro Paese, ma ci sono, purtroppo ancora quattro anni di legislatura e quindi prima si dovrà affrontare la crisi». Ma come? E i tempi rapidi invocati solo una settimana fa? Tra l'altro, mentre Dario Franceschini tira il freno a mano, nel Pd cresce il coro di quelli che vorrebbero confrontarsi con la maggioranza. Ieri, ad esempio, anche i vicepresidenti del Pd al Senato Nicola Latorre e Luigi Zanda hanno teso la mano. Ma, soprattuto, c'è stata la discesa in campo di Giuseppe Fioroni che, intervistato dal Corriere della Sera, ha chiesto al partito di prendere sul serio «l'invito di Fini. È un'occasione da non perdere per avviare un percorso di condivisione». Non basta. Secondo l'ex ministro dell'Istruzione, il segretario, e con lui Francesco Rutelli, «sbagliano»: «È giusto andare a vedere le carte di Fini. Franceschini dovrebbe avere il coraggio di farlo». Insomma, da Fioroni è arrivato un vero e proprio attacco frontale al segretario. Un attacco che a molti ha ricordato i tempi in cui, al timone del Pd, stava un certo Walter Veltroni. Che anche per Dario sia iniziato il lento logoramento? In realtà a via del Nazareno spiegano che, mentre i Ds si muovono come un sol uomo, la battaglia è tutta interna agli ex Popolari dove Fioroni, messo in secondo piano dalla leadership di Franceschini, sta cercando in tutti i modi di ritagliarsi un posto al sole. Per questo, ad esempio, prima di essere stoppato dal segretario avrebbe autorizzato alcuni ex Ppi campani a presentare delle liste esterne al Pd in appoggio al candidato alla provincia di Napoli Luigi Nicolais. Mosse e contromosse che hanno mandato su tutte le furie Franceschini. Ed è proprio per evitare questo tipo di trappole che il leader del Pd avrebbe frenato sulle riforme. Ora, infatti, bisogna lavorare per cercare di conquistare più voti possibili in vista delle europee di giugno. Aprire un tavolo costituente in cui parti del Pd viaggiano in ordine sparso mentre l'Idv di Antonio Di Pietro grida all'inciucio, potrebbe essere altamente controproducente, soprattutto per Franceschini che spera nelle elezioni per rafforzare la propria leadership. Meglio quindi continuare ad attaccare Silvio Berlusconi sperando che questo rialzi le quotazioni del partito e del segretario. Dopotutto, come spiega Nicodemo Oliverio, braccio destro di Franco Marini, «c'è un tempo per la semina e uno per il raccolto. L'invito al dialogo è sempre positivo, ma bisognerebbe sapere su cosa e con quale obiettivo». «Il discorso di Fini - spiega - il giorno dopo è stato stroncato da Berlusconi, che con le parole di sempre ha di fatto chiuso qualsiasi contatto con l'opposizione. Il coraggio, quindi, dovrebbe averlo chi propone il dialogo, magari indicandone anche i percorsi. Franceschini a cui non difetta certo il coraggio, per ora è impegnato, e tutti dovremmo esserlo, a ricostruire l'unità del partito per preparare al meglio i prossimi importanti appuntamenti elettorali».

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