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I soldati italiani in missione a Beirut

I caschi blu italiani

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{{IMG_SX}}Gli sguardi. Occhi rivolti al futuro. Gli occhi dei giovani in mimetica intabarrati con zaini, cinghie ed elemetti. Quei caschi blu della missione Unifil. Una missione di pace che sono pronti a compiere per il futuro dei libanesi per conto e in nome dell'Italia. È notte all'aeroporto di Beirut quando, accolti da un nubifragio con tempesta di vento e grandine, i militari sbarcano dall'aereo dell'Aeronautica militare. «Andiamo a garantire la sicurezza e proteggere la popolazione», dice convinto Giuseppe, 25 anni, siciliano, cannoniere di un blindo Centauro del Reggimento Aosta alla sua prima missione all'estero. «Sono nel'Esercito dal 2005 - dice - mi sono riaffermato e spero che questo sia il mio futuro». Un ragazzone corpulento, che minimizza i timori per questa sua prima uscita dall'Italia accendendo subito il telefonino e iniziando a chattare. «Così sono vicino alla mia fidanzata», commenta tra i sorrisetti dei commilitoni. Tutti però fanno come lui: appena possibile hanno acceso il cellulare e iniziato a chiamare a casa. «Papà, tranquillo - dice sottovoce Andrea - va tutto bene. Ci sentiamo dopo appena mi sistemo. Qui fa freddo e piove grandine grande come noci». Non bastasse il loro armamentario, quasi tutti si trascinano dietro un pc portatile. A cosa vi serve? Non vi ingombra? «È il nostro tempo libero - spiega sempre Giuseppe il siciliano dell'Aosta - ci possiamo vedere i film, scaricare foto. Parlare con casa con Skypevoice». L'attesa all'aeroporto si fa lunga mentre la pioggia si fa sempre più insistente. Alcuni di questi soldati sono in piedi da 36 ore. Il Reggimento Aosta è a Palermo, sono partiti praticamente due giorni prima. E le attese sono più lunghe dei percorsi. Albeggia. La colonna si mette in marcia. Verso la missione di pace. Verso quel sud del Libano che due anni e mezzo fa è stato martoriato da una guerra breve e devastante. In viaggio si mettono pullman e Cm, protetti da blindati dotati di jammer, i sistemi che proteggono da eventuali ordigni innescati elettronicamente. Un viaggio attraverso la distruzione, il degrado e la rinascita. Ci lasciamo Beirut alle spalle dirigendoci lungo la costa. Un mare in tempesta con onde che risucchiano la riva fa da colonna sonora. Gli sguardi curiosi dei giovani soldati e delle soldatesse sbirciano, nonostante la stanchezza, attraverso i finestrini. Le spiagge aggredite dalle onde sono un immondezzaio indegno. Buste di plastica, copertoni, detriti di ogni tipo. Alcune palme striminzite dalle folate di vento sembra graffino le nuvole: misero sfondo a due chiese che innalzano i loro campanili di fronte al mare. Saida appare dietro un curva tra un checkpoint dell'esercito libanese e la grande moschea voluta dal presidente Hariri. L'uomo della rinascita libanese ucciso in un attentato dinamitardo è ricordato con grande manifesto accanto al minareto dove campeggia una sua foto. Lungo la strada, vicino al porto, i pescatori preparano i banchi per vendere il pesce. La strada è costellata di manifesti pubblicitari che reclamizzano elettrodomestici, bagni schiuma. Volti di donna sorridenti che invitano all'acquisto. Una coreografia che si ripete per quaranta chilometri. Poi come d'incanto la scena cambia. Il volto di Nabih Berri, lo speaker del parlamento libanese, del partito sciita di Amal si alterna con quelli di ayatollah del Partito Hezbollah. La frequenza dei manifesti e delle bandiere gialle del Partito di Dio aumenta. L'ingresso a Tiro è salutato da un arco di trionfo dove un sorridente Nasrallah, leader di Hezbollah, dà il benvenuto nella «terra liberata». I palazzi in costruzione, alcuni appena abbozzati. Altri già svettanti. Tiro si sta svegliando e la gente inizia a sciamare per le strade. La colonna dell'Unifil è costretta a rallentare: attarversamenti continui e continue auto che si infilano nel convoglio. Alcuni soldati hanno ceduto alla stanchezza. Altri hanno il viso spiaccicato sul finestrino e guardano con avidità ciò che li circonda. Le donne, anche le giovanissime, indossano l'hijab, tra gli uomini alcuni la kefiah. «Ci hanno spiegato come comportarci - dice Giuseppe dell'Aosta cavalleggeri che per scherzo della burocrazia è finito di stanza in Sicilia - non dare confidenza, non mostrare troppo la mano sinistra. Cultura diversa che non va insultata. Siamo qui per dare sicurezza non da occupanti». Lasciamo la costa e saliamo verso i monti, verso Maraqa base dei Lagunari. Su e giù per colline dove la primavera dispettosa fa fiorire gli aranceti quando ancora i frutti sono sull'albero. E la strada è tutto un fiorire di manifesti che onorano gli shahid, i martiri della resistenza Hezbollah che hanno offerto la vita nella battaglia del 2006. Tibinine con il suo Castello di Beaufort domina le valli che degradano verso il mare e verso la blu-line che separa il Libano da Israele. E qui, proprio sotto i contrafforti delle mura dei crociati, ecco il manifesto che onora Imad Mughiah, il capo militare Hezbollah fatto saltare in aria a Damasco. La base Unifil del settore west è intitolata a Massimo Ficuciello, l'ufficiale morto nell'attentato di Nassiriya. La base fortificata è circondata da un fiorire di ville e villette. Lo sguardo le coglie come cattedrali che punteggiano il verde. Alcune veramente pretestuose. Qui il piano casa non ha motivazioni economiche ma ideologiche. Parla al nemico che sta più a sud e vuole dirgli: «Non ci avete piegato!».

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