Caro Gianfranco e cari amici, quella farfalla deve spiccare il volo.
Perchéi giovani si sentono farfalle, non calabroni. Dobbiamo evitare la disaffezione delle nuove generazioni. Dobbiamo innanzitutto applicare la Costituzione, dobbiamo rivitalizzarla, dobbiamo arricchirla. E ci metteremo tutto il nostro impegno. Ci troviamo però in una curiosa situazione, ed a questo mi riferivo quando parlavo delle contraddizioni della sinistra. Noi la riforma istituzionale l'avevamo fatta e completata nel 2005, un lavoro a tutto campo iniziato con la prima approvazione della Camera il 15 ottobre 2004 e terminato il 16 novembre 2005 con definitiva promulgazione, in seconda lettura, da parte del Senato. Quella riforma, giova ripeterlo, interveniva su una cinquantina di articoli della Costituzione e comprendeva: la devoluzione, un decentramento vero dei poteri dallo Stato alle Regioni e l'istituzione del rango di Roma capitale: entrambe riforme che abbiamo già ripreso e già sono state approvate dalla Camera ed ora aspettano il sì definitivo del Senato; comprendeva la riduzione del numero dei deputati e la competenza della Camera a legiferare solo sulle questioni attinenti allo Stato centrale; prevedeva la riduzione del numero dei senatori e la trasformazione del Senato in Senato federale, con competenze sulle materie in concorrenza tra Stato e Regioni sancendo così la fine dell'attuale bicameralismo perfetto; prevedeva il rafforzamento dei poteri del Presidente del Consiglio, che sarebbe diventato Primo Ministro, avrebbe avuto - tra l'altro - il potere di nomina e revoca dei componenti del governo e il diritto di chiedere e ottenere lo scioglimento della Camera; prevedeva infine l'introduzione della sfiducia costruttiva e di norme anti-ribaltone, la riforma della Corte Costituzionale e del Consiglio Superiore della Magistratura e più ampi e democratici poteri in materia di referendum popolari. Tutto ciò lo facemmo in oltre un anno di lavoro. Si trattava di riforme ispirate alle costituzioni di più antica democrazia e di più collaudata efficienza, da quella inglese a quella tedesca. Ma come si comportò allora la sinistra, quella sinistra che proprio oggi, attraverso alcuni suoi esponenti di primo piano, plaude alla richiesta di riforme? Rifiutò di contribuire a quella importante riforma, impedendo così di raggiungere il consenso dei due terzi del Parlamento. E da lì a meno di un anno indisse addirittura un referendum, che cancellò quelle fondamentali innovazioni, dopo una campagna strumentale e manipolatoria con la quale ci si accusò addirittura di attentato alla democrazia. Un comportamento irresponsabile, di cui ancora oggi scontiamo le conseguenze in termini di governabilità, di costi della politica, di distanza e di disaffezione tra i cittadini e lo Stato. Non solo. All'atto dell'insediamento di questo governo abbiamo riproposto l'offerta all'opposizione di un reciproco rapporto costruttivo, di una legislatura costituente per ammodernare lo Stato e ridurne i costi e le inefficienze. E l'abbiamo avanzata, quella offerta, nella sede più propria: non nei talk show o con interviste estemporanee, ma in Parlamento. L'abbiamo avanzata, aggiungo, accogliendo l'auspicio del capo dello Stato, che era il nostro auspicio. Ci venne risposto di sì. Ma dopo pochi giorni quel sì si trasformò in no. La conclamata buona volontà costituente degenerò in una campagna di insulti e di ridicole accuse di regime nelle piazze, sui giornali, in televisione. È evidente che riforme di questa portata andrebbero fatte in due, maggioranza e opposizione. È ancora più evidente che, dopo queste esperienze, c'è molto da dubitare sulla serietà della nostra controparte. Nonostante questo, ci siamo impegnati a cambiare e a modernizzare lo Stato. E lo stiamo facendo. Lo sta facendo la nostra maggioranza parlamentare. Stiamo portando a compimento l'approvazione del federalismo; sul quale parte dell'opposizione, in particolare il Pd, ha deciso di astenersi. Il federalismo — anche qui sfatiamo un altro luogo comune — non è né un tributo pagato alla Lega di Bossi né una mera ridistribuzione su base territoriali delle risorse fiscali e delle spese. Il federalismo è qualcosa in cui insieme a Bossi abbiamo creduto fin dall'inizio del nostro cammino comune, ed è profondamente diverso da quel finto federalismo che la sinistra ha approvato in tutta fretta nel 2001, allo scadere della sua legislatura, con appena quattro voti di maggioranza. Un falso federalismo, quello, che ha aggravato e non risolto i problemi, che allontana e non avvicina i cittadini alla cosa pubblica. No. Nulla di tutto questo. Il nostro federalismo è una vera riforma di sistema che non frammenta le competenze, che non si occupa dei poteri, ma distribuisce le risorse e le imposte sul territorio sottoponendole al diretto controllo e alla sovranità dei cittadini, quindi del popolo. È un federalismo che non dimentica mai la solidarietà verso le aree ed i ceti più disagiati, verso il Sud, ponendo così fine all'era dei finanziamenti a pioggia e degli sprechi inaugurando invece l'era della responsabilità. Quando sarà a regime, il federalismo ci porterà ad una riduzione delle spese inutili e quindi delle tasse, razionalizzerà le risorse indirizzandole dove ce n'è veramente bisogno, responsabilizzerà gli amministratori locali, restituirà sovranità ai cittadini e al popolo. Al federalismo non può che fare da evidente ed indispensabile contrappeso il rafforzamento dei poteri del governo centrale sulle materie di sua competenza. Questa esigenza è già preesistente al federalismo: il Paese ha bisogno di governabilità. La maggioranza ha finora governato in una situazione economica mondiale tra le più difficili, difendendo i beni fondamentali della società italiana: il lavoro, la famiglia, la casa, il risparmio, la coesione sociale, la libertà d'impresa. Ma proprio in questi momenti l'esperienza ci dimostra che nell'azione di governo il ruolo del premier resta fondamentale e deve avere maggiori poteri rispetto a quelli attuali, di fatto inesistenti, che la Costituzione gli assegna. Vedete, sui poteri del presidente del Consiglio italiano si sono costruire molte favole. Eppure da noi la realtà è che il Capo del governo non può nominare nè revocare i ministri come i suoi colleghi europei, non ha gli stessi poteri che hanno i capi di governo delle grandi democrazie, ma può soltanto redigere l'ordine del giorno del Consiglio dei ministri ed esercitare un'azione di moral suasion. Scusate, ma è importante chiarire questi punti e portarli alla conoscenza di tutti. Anche dei giornalisti stranieri che in grande numero hanno chiesto di essere accreditati al nostro congresso. Io non so fino a che punto conoscano tutte le regole che limitano l'azione del premier italiano. Di certo sanno che nei loro Paesi il capo del governo ha poteri veri. In Italia, invece, ha poteri finti. La verità è che, così come è, lo Stato non funziona più. È lento e in costante ritardo nel dare le risposte appropriate. Lo era in tempi di ordinaria amministrazione; lo è drammaticamente oggi in situazioni di emergenza. Il governo, però, non può assolutamente lasciarsi imbrigliare dai ritardi e dalle inefficienze dello Stato. È dunque venuto il tempo di modernizzare la Costituzione nella sua seconda parte arricchendola, non stravolgendola, per consentire al governo e al Parlamento di svolgere al meglio ognuno la propria parte, ognuno nel proprio ruolo. Questa è la grande missione della nostra maggioranza parlamentare. Già oggi, di fatto, nelle elezioni Politiche gli elettori sono chiamati a votare un partito e ad indicare un Capo del governo. Questa scelta che ha già profondamente modernizzato la nostra democrazia, non viene più messa in discussione da alcuno, viene praticata dai nostri avversari. I quali, anzi, quando il loro premier eletto è stato scalzato da due capi del governo della stessa coalizione, ma non eletti dal popolo, hanno pagato pesantemente in termini di governabilità e di credibilità. I loro elettori si sono sentiti traditi, e non a torto. E non è più rinviabile anche la riforma dei regolamenti parlamentari, i quali sono rimasti praticamente immutati dall'epoca della prima repubblica, e non possono essere più strumento di ritardi e pretesto e strumento di ostruzionismo. La riforma, è perfino superfluo sottolinearlo, non andrà a ridurre o mortificare il Parlamento, ma restituirà al Parlamento il suo giusto ruolo legislativo e la sua piena dignità. Che è quella di valutare, discutere e votare i provvedimenti di legge nei tempi imposti non dal governo, ma dall'urgenza delle circostanze. Anche questo è un modo per restituire agli eletti dal popolo la credibilità e la legittimazione agli occhi del popolo stesso. Non spetta al governo né tanto meno al Presidente del Consiglio riformare i poteri del capo del governo. Io ho espresso alcune considerazioni e indicato le vie più logiche e percorribili. Ma la materia è di competenza del Parlamento. È la tipica materia sulla quale è auspicabile, anzi necessario, il confronto — e se possibile il concorso — dell'opposizione. Se questo concorso ci sarà, e sarà serio e non durerà lo spazio di un mattino prima del ritorno alla piazza, sarò il primo a rallegrarmene e darne atto ai leader della minoranza. Ma è evidente che nel frattempo la maggioranza ed il Popolo della Libertà non possono sottrarsi dal fare la loro parte, dal compiere il loro dovere di sciogliere questo nodo nelle forme costituzionalmente previste, nell'offrire a voi ed a tutti gli italiani la soluzione per un governo che governi ed un Parlamento che controlli. I nostri capigruppo stanno da tempo lavorando ad una proposta di legge di iniziativa parlamentare che riassumerà le soluzioni più efficaci; su di essa chiederanno il consenso della maggioranza e si misureranno con l'opposizione. Ma quando si parla di modernizzare lo Stato non possiamo tralasciare la Pubblica Amministrazione. Che è poi quella parte di Stato con la quale tutti voi, ogni cittadino, ogni impresa, si confronta ogni giorno. Ogni volta che vi presentate ad uno sportello, ogni volta che siete chiamati a sbrigare una pratica, voi e noi abbiamo di fronte la Pubblica Amministrazione. Abbiamo iniziato a renderla più efficiente e trasparente. Abbiamo introdotto negli uffici pubblici i criteri di merito e di responsabilità. Abbiamo affermato il metodo secondo il quale la Pubblica Amministrazione non è più il giudice di se stesso, ma sono i cittadini che giudicano la Pubblica Amministrazione ed il funzionario pubblico. Da grande moloch autoreferente, da grande corporazione inefficiente, la nostra Pubblica Amministrazione si sta digitalizzando, velocizzando, sta cominciando a ripulirsi di inefficienze ed anche di cattive abitudini. Cari amici, oggi si conclude la lunghissima transizione italiana. Quella cominciata nel 1993, con la fine della prima repubblica. Quando i giovani che per la prima volta quest'anno andranno al voto, erano ancora all'asilo. Abbiamo lavorato, combattuto, sofferto in questi anni per difendere la libertà, per non consegnare il Paese alla sinistra, per dare voce all'Italia moderata, all'Italia seria, all'Italia laboriosa. E abbiamo lavorato per costruire quello che oggi si presenta agli italiani: questo nostro nuovo grande partito moderato, liberale, nazionale, riformista, intorno al quale ruoterà la politica italiana dei prossimi decenni. Quali sono allora le missioni del nostro nuovo partito del Popolo della Libertà oltre quella di sostenere il governo e la sua maggioranza? La storia del nostro Paese, che fra poco compie 150 anni, ha conosciuto delle stagioni politiche di forte sviluppo nella democrazia e nella libertà. Penso ai Padri fondatori, quelli che hanno costruito l'Italia unita e quelli che, dopo la tragedia della guerra, l'hanno ricostruita. Il Popolo della Libertà guiderà la terza ricostruzione, la ricostruzione di un Paese che supererà la crisi economica e ne uscirà più forte di prima, ma che saprà anche por fine a una fase di incertezza politica e ad un bipolarismo finora solo abbozzato e che finalmente si compie. Un grande movimento come il nostro, che nei sondaggi fatti ieri dopo il primo giorno di Congresso ha già superato il consenso del 44% degli italiani e che si candida a raggiungere il 51%, non può accontentarsi. Mai. Non ci accontentiamo dei grandi risultati ottenuti come forza di governo, non ci accontentiamo di questi successi e di questo consenso, sappiamo che ci sono ancora tanti altri italiani che possono unirsi a noi per diventare con noi protagonisti del grande sogno e del grande progetto di fare dell'Italia un Paese davvero moderno, davvero libero, davvero europeo. A loro, oltre che ai tanti, tantissimi che ci hanno dato fiducia, ci rivolgeremo da domani con l'entusiasmo e la passione di sempre. Non dobbiamo avere paura di pensare in grande, ancora più in grande. Quello che abbiamo fondato oggi è un grande partito per guidare l'Italia nel nuovo secolo, per rispondere alle nuove e più complesse sfide del governo di una società complessa come la nostra. Quello che abbiamo costruito durerà nel tempo e sopravviverà certamente ai suoi fondatori. Non possiamo fermarci. Ci aspettano nuove sfide e nuove verifiche, alcune quasi immediate. Le elezioni amministrative sono importanti: potranno cambiare il volto e il colore politico di molte amministrazioni locali, ancor oggi in mano alla sinistra. Ci serviranno per portare il buon governo dei nostri amministratori nelle tante città, grandi e piccole, chiamate alle urne. Noi vogliamo una democrazia che parta dal basso, che si fonda sul principio di sussidiarietà, nella quale gli enti locali hanno un compito fondamentale. Noi vorremmo che gli amministratori locali si sentissero partecipi, come noi, della trasformazione del Paese. È questa la garanzia che offriranno i candidati del popolo della Libertà alla guida delle nostre città e delle nostre province - province che fino a quando esistono vanno governate nel migliore dei modi, con efficienza e soprattutto profondo rispetto del denaro pubblico. Per questo i nostri candidati saranno persone che vengono dalla trincea del lavoro, saranno giovani, ci saranno molte donne. Saranno persone che hanno il nostro stesso entusiasmo, i nostri stessi sogni, un grande sogno che vogliamo diventi realtà in ciascuna delle nostre città. Ancora più importanti sono le elezioni europee. Con le elezioni europee dobbiamo eleggere al Parlamento Europeo delle persone preparate e motivate, delle persone che siano pronte ad impegnarsi ogni giorno nei lavori dell'aula e delle commissioni, anche per difendere gli interessi del nostro Paese. Puntiamo a diventare il primo partito del gruppo Popolare al Parlamento Europeo. Possiamo riuscirci, per contare di più, perché la voce dell'Italia sia più forte. Per questo non ho esitazioni a impegnarmi direttamente, come credo un leader debba avere il coraggio di fare. Una bandiera? Sì, una bandiera dietro la quale ogni vero leader chiama a raccolta il suo popolo. Sarebbe bello che anche il leader dell'opposizione, se esistesse un leader, facesse altrettanto. Un partito come il nostro non si può accontentare dei successi ottenuti e non può guardare soltanto alle prossime elezioni. Il Popolo della Libertà ha su di sé il peso della conduzione della nazione: per questo dobbiamo pensare al futuro e alle prossime generazioni. Pensare al futuro significa proiettare in avanti di 10-20 anni il nostro orizzonte politico, con l'obiettivo di consegnare ai giovani di oggi un'Italia completamente rinnovata. L'impresa del cambiamento non ci spaventa. Anzi, è la nostra vera missione. Anche per questo siamo un partito diverso da tutti quelli del passato. Non siamo il riflesso di un teorema ideologico, di un'utopia visionaria, di una ragione astratta. Siamo piuttosto una felice espressione della cultura del nostro tempo, della cultura del fare, una cultura che rifiuta e rifugge da categorie ormai superate e privilegia invece i risultati e le riforme concrete. Noi non dobbiamo dimenticare mai che tra i tanti nostri meriti abbiamo quello di avere introdotto nella politica la vera moralità, la moralità del fare. Dobbiamo esserne tutti consapevoli: che un rappresentante delle istituzioni sia onesto, che non rubi, è davvero il minimo. Ciò che bisogna pretendere è che chi è eletto onori il programma sul quale ha avuto la fiducia dei cittadini, che mantenga gli impegni assunti con gli elettori. Per noi il programma elettorale non è un pezzo di carta da stracciare dopo le elezioni ma un patto vincolante, un impegno concreto con i cittadini che è da onorare a tutti i costi. Queste dunque le missioni per il futuro del nostro partito. Il Popolo della Libertà dovrà essere una fucina di idee e di programmi per i nostri protagonisti, per il governo, per la nostra maggioranza parlamentare. Un grande partito come quello a cui abbiamo dato vita ha un bisogno assoluto del confronto delle idee, del dibattito politico, del pluralismo culturale, dell'apporto delle diverse esperienze dei suoi componenti e dell'apporto delle diverse sensibilità personali. Tutto questo - se non diviene correntismo, se avviene in spirito unitario, leale, costruttivo - è il lievito della democrazia e della forza dei movimenti politici che ambiscono non solo a governare ma a rappresentare le speranze più profonde di un Paese. Ringrazio perciò tutti i nostri amici che sono intervenuti nel corso di questi tre giorni intensi di lavori, e che con i loro interventi - li ho ascoltati tutti, di persona o alla TV - hanno dato vita ad un dibattito di alto profilo, serio, responsabile, costruttivo che ha mostrato al Paese l'altissima qualità della nostra classe dirigente. Vi sono grato per questo, e posso dirvi che anche se per me è stata una conferma scontata, la prova è che il nostro è un grande movimento, che nasce da una grande idea e che durerà nel tempo. Oggi voi tutti siete protagonisti di una pagina della storia d'Italia. Ma il nostro impegno, quello di chi ha partecipato a questi tre giorni di lavoro serrato, quello di tutti i nostri militanti, del nostro Popolo, non finisce certo qui. Avrete un'altra missione, non meno importante: dovrete impegnarvi nell'attività missionaria, per far crescere i consensi e dovrete impegnarvi a fondo per vincere le elezioni amministrative e per vincere le elezioni europee. E infine dovrete impegnarvi sempre, ogni giorno, per radicare il nuovo partito nelle vostre città e nei vostri Paesi, nei luoghi di lavoro e nelle scuole, fra i vostri amici e i vostri colleghi per diffondere la conoscenza dei nostri valori, per far conoscere i risultati del nostro impegno e del nostro lavoro. Voi siete i Missionari della Libertà! Ed io con voi. Abbiamo appena eletto l'Ufficio di Presidenza che condividerà con me la responsabilità delle scelte e delle decisioni. Mi piacerebbe avervi tutti qui sul palco insieme a me, i nostri Ministri, i nostri Governatori, i Capigruppo alle Camere, il Vice Presidente della Commissione europea, il Sindaco della Capitale, i nostri tre coordinatori Nazionali. Insieme noi vi auguriamo ogni bene e vi facciamo queste promesse: Usciremo dalla crisi, non lasceremo indietro nessuno, cambieremo l'Italia, difenderemo la nostra democrazia e la nostra libertà. Noi siamo il partito degli italiani, siamo il Popolo della Libertà. Viva l'Italia. Viva la libertà.