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Giulio Tremonti ha scoperto la forza delle parole semplici.

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Rivendicazionefatta contro chi invece (per lui i primi della lista sono gli economisti teorici) sceglie sempre di aggiungere complessità a complessità e contro chi vuole sempre stupire o perfino irridere, magari per sfuggire alle domande. Tremonti parla un linguaggio semplice e nello stesso tempo fortemente evocativo e affida la sua analisi alla coppia di termini che aveva fatto la fortuna del suo ultimo saggio: la paura e la speranza. Ma sa bene, e qui sta la forza del suo messaggio, che entrambe queste parole, anche nel tempo non lungo trascorso dall'uscita del libro, si sono caricate di nuovi significati. Speranza, nelle settimane più dure della crisi economica, è un termine che diventa anche un progetto politico e un programma di governo. Diventa la premessa, il terreno di coltura, per quella fiducia che tutti stanno cercando: "ma non si può chiedere di avere fiducia se prima non si dà speranza", dice il ministro. Sta a evocare l'atteggiamento che Tremonti chiede a tutti i cittadini, ma soprattutto agli imprenditori e alle banche, e che, nei vertici internazionali, ha cercato di coltivare tra i partner dell'Italia. Siamo il partito della speranza, dice Tremonti dal palco del congresso fondativo del Popolo della Libertà. All'opposto continua a esserci la paura. Ma anche'essa è diventata qualcosa di nuovo, qualcosa che potrebbe diventare, in questa fase, terribilmente pericolosa e che, però, è anche parte dell'armamentario politico. Il partito della speranza, dice Tremonti, si contrappone a quello della paura. Ma il ministro non parla, o almeno non solamente e banalmente, di rapporti tra maggioranza e opposizione, di schieramenti contrapposti tra chi deve governare e chi deve vigilare sul governo e, nel caso, contrastarlo. Non mette tutta la speranza da una parte e tutta la sua negazione dall'altra, ma va a cercare i semi della paura anche in pezzi del sistema di potere, soprattutto in quello economico, e magari anche in qualche atteggiamento riconducibile a parti del suo schieramento politico. Grazie a questa scelta Tremonti, assieme a Gianfranco Fini e a pochi altri (e non necessariamente questi pochi altri sono tra le prime posizioni tra i partecipanti al congresso), si può rivolgere all'opposizione andando a evocarne anche la parte con cui dialogare. C'è un'opposizione che demolisce- dice il ministro- ma ce n'è anche una che costruisce e, con essa, ci si deve confrontare alla ricerca di una misura comune. Dalle parole semplici viene la possibilità di aprire al dialogo e dalla visione forte viene la possibilità di esercitare un ruolo da leader. Qui sta il nucleo politico della scelta fatta da Tremonti per cominciare la sua avventura nello schieramento politico maggioritario in Italia. Giuseppe De Filippi

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