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Chiamato sul palco per il suo intervento, Brunetta è stato accolto da oltre due minuti ininterrotti di applausi dei seimila delegati presenti alla nuova Fiera di Roma.

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Cosìscrivevano ieri le agenzie di stampa immediatamente dopo l'intervento di Renato Brunetta, l'uomo di governo che più di ogni altro sa rappresentare l'ansia rivoluzionaria del Popolo della libertà. Non era mai accaduto che un ministro della funzione pubblica potesse suscitare tanto entusiasmo. Non era nemmeno pensabile che, occupandosi di lavoro e di efficienza nella pubblica amministrazione, un ministro conquistasse un posto importante nel cuore degli Italiani. Eppure Renato Brunetta ci è riuscito e l'applauso che il congresso gli ha tributato prima che iniziasse a parlare è stata la prova più evidente. Il ministro stesso, nel suo intervento, ha provato a spiegare il motivo di tanto entusiasmo: «Siamo noi i veri rivoluzionari, pieni di difetti, ma siamo noi i rivoluzionari di cui l'Italia aveva bisogno. È in corso una rivoluzione, una rivoluzione borghese, liberale, moderata ma è la nostra rivoluzione e noi ne siamo i protagonisti, voi gli artefici e gli italiani ne beneficeranno. L'Italia aveva bisogno di noi». Vero. Tutto vero. Ma non basta. Perché la rivoluzione è in corso da quindici anni e l'entusiasmo ha avuto fasi alterne e, in alcuni momenti, non ha avuto personaggi su cui appoggiarsi. Alfonso Piscitelli su Il Predellino (www.ilpredellino.it) ha scritto che «la battaglia di Brunetta ha un che di destra storica», intendendo con ciò un filone politico italiano – che ha tra i suoi migliori interpreti Quintino Sella e Silvio Spaventa – che è stato capace in epoca risorgimentale di unire l'idea liberale con una forte attenzione all'etica pubblica. Brunetta, allora, con la sua opera riformatrice, con il suo netto antagonismo al consociativismo pansindacale che ha attraversato la storia della Repubblica italiana di pari passo con il nefasto «arco costituzionale», rappresenta insieme la rottura rivoluzionaria (come ha detto lo stesso ministro) e l'alternativa liberale e laica al fanatismo giustizialista interpretato da Di Pietro e, ancora di più, da Marco Travaglio. C'è, infine, una caratteristica di Renato Brunetta che ne accresce la credibilità. Il ministro parla con le stesse parole, con la stessa irruenza rivoluzionaria, con lo stesso convincimento con cui parlava quando era una punta di diamante dell'opposizione. È lui che trasforma il governo, non è il governo — la melassa burocratica che tutto attenua e impaluda — a trasformare lui. E questo il Popolo della libertà lo avverte, lo condivide e lo esalta. C'è allora in quell'applauso di due minuti ininterrotti lo spettro del cambiamento che dal 1994 si aggira per l'Italia. Giorgio Stracquadanio

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