Brunetta confessa: "Siamo un po' sfigati"
Standing ovation e sventolio di bandiere tricolore per il ministro della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, che, ancora prima di prendere la parola al congresso del Pdl, è riuscito a scaldare la platea congressuale del Pdl. «Basta, mi commuovo», prova a frenarli, ma l'applauso per il ministro, medaglia d'oro del gradimento degli italiani in un recente sondaggio, continua per altri lunghissimi minuti. Non è abituato a queste manifestazioni d'affetto, gli occhi gli diventano lucidi e capisce che l'unica via di scampo per cercare di driblare il momento, e buttarla in ridere con una battuta autoironica: «Finalmente un podio della giusta altezza...» e proprio da quel palco inizierà il suo intervento. «Noi dobbiamo essere l'Italia che vive il presente e guarda al futuro. Le nostre idee sono la nostra azione, il nostro lavoro, il nostro fare dalla parte dei cittadini. Noi dobbiamo essere il contenitore capace di far convivere contenuti diversi, lo specchio dell'Italia migliore: pragmatica, non ideologica, capace di crescere nella concordia. L'Italia che vuole le riforme del merito, del nuovo patto generazionale, del welfare, delle public utilities». È questa la rivoluzione in corso secondo il ministro Renato Brunetta. Una rivoluzione liberale borghese «iniziata con le scelte politiche di Silvio Berlusconi e che continua nell'attività di ciascuno di noi, dai militanti dei gazebo ai ministri e della quale noi siamo i protagonisti, voi gli artefici, gli italiani i beneficiari». Ma il cavallo di battaglia del ministro veneto è di certo l'economia: «Siamo un po' sfigati, ammettiamolo. Ogni volta che andiamo al governo c'è una crisi. Questa è preoccupante ma può trasformarsi in crescita se gestita da forze politiche che guardino al futuro e non al restauro del passato. Abbiamo alle spalle quindici anni di grande sviluppo economico durante i quali la ricchezza mondiale è cresciuta in modo prepotente tranne che in Italia. La causa - sottolinea Brunetta - va ricercata nelle nostre arretratezze strutturali, fra le quali una politica istituzionale e delle relazioni industriali che ancora regolano i conti con il passato anziché proiettarsi nel futuro. Guasti che vanno affrontati a muso duro senza far sconti, senza subire il ricatto di presunte forze sociali - sempre meno o per nulla rappresentative - tenendo la mente rivolta ad un solo interesse: quello dei cittadini. La crisi sarà il test della nostra capacità di governo. Uscirne, come spero, con un'Italia più efficiente, sarà la nostra forza». Un ultimo pensiero lo riserva alla sinistra e alla differenza sostanziale tra Pd e Pdl: «Noi dobbiamo essere l'Italia che vive il presente e guarda al futuro. Noi siamo dalla parte degli italiani che non si rassegnano al declino e che lavorano per la ripartenza». La sinistra invece «pensa di risolvere la propria crisi cambiando segretari come si cambiano i guardaroba stagionali. Ma la loro non è una crisi organizzativa. È prima di tutto una crisi morale e di idee: le poche che hanno sono conservative, restauratrici, retrograde. Non capiscono che oggi la lotta è tra la vera classe sfruttata di tutti i lavoratori, autonomi ma anche dipendenti e la vera classe parassitaria, cioè la classe burocratica con i suoi padrini politici dei partiti statalisti».