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«Rubo», risponde al giudice che le chiede «che lavoro fa?»

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Èbassa, tarchiata, con il volto schiacciato. Ha poco più di vent'anni. Indossa un paio di jeans, scarpe da ginnastica e un maglioncino a righe di cotone lento sui fianchi. Il cognome finisce per «vic» e ha splendidi capelli corvini che le cadono sulla schiena. È una zingara, e probabilmente è costretta a rubare da quando è nata. Il suo curriculum professionale non smentisce. Nel 2008 è stata fermata 5 volte per furto ed è ancora in attesa di essere processata. Ma due condanne del 2007 per furto aggravato, questa volta, non possono intenerire la giustizia. Quando il giudice sentenzia 5 mesi di carcere, lei non batte ciglio. Sembrano al contrario sorpresi i due carabinieri che ascoltano in fondo all'aula di direttissima: «Meglio di niente», sussurra uno all'orecchio del collega. Peggio di così, invece, non poteva andare a due militari che attendono seduti, con la testa tra le mani, nell'aula di direttissima di un altro tribunale della provincia di Roma. La Corte rientra. I carabinieri s'alzano in piedi, ascoltano il verdetto, scuotono la testa e imprecano a denti stretti: «Tanto lavoro per nulla». Ma il loro lavoro è arrestare, non polemizzare. Il giudice ha rispedito a casa un tizio evaso tre volte in 6 mesi. L'uomo, ai domiciliari dall'estate del 2008 per una tentata rapina, era evaso a dicembre e arrestato. Condannato a 4 mesi, era tornato a scontarli a casa. Il 3 marzo scorso è evaso di nuovo, arrestato e portato un'altra volta davanti al giudice che lo ha condannato a 6 mesi da scontare sempre a casa. Dopo 48 ore evade ancora. I carabinieri, come da copione, lo arrestano. Il giudice, come da copione, lo rispedisce ai domiciliari. È il copione tragicomico di un'Italia che non funziona. I Pm spiegano di applicare la legge, i giudici pure, gli avvocati la tirano per le lunghe, carabinieri e poliziotti, già provati dal lento e obbligato lavoro d'ufficio che segue ogni fermo, tornano in strada con i capelli dritti. Basta guardarli in faccia per rendersi conto di quanto siano frustrati. Hanno gli occhi gonfi di sonno per arresti eseguiti la sera prima, hanno la testa piena di «ma chi me lo fa fa!». Alcuni non dormono da 24 ore. Hanno passato la notte a identificare il clandestino che ora scortano in tribunale. I colleghi più anziani ci sono abituati. Testimoniano, aspettano la sentenza, girano i tacchi e lasciano l'aula senza tante storie. Le "direttissime" sono un via vai di venditori ambulanti abusivi, ladri e scippatori, stranieri rissosi e clandestini. Un giovane marocchino sorpreso a vendere cd e dvd contraffatti viene liberato. È al suo primo arresto. Come tutti i clandestini non ha documenti ed è senza fissa dimora. Per l'identità bisogna fidarsi di ciò che dice sotto giuramento. Il giudice lo libera, ma deve lasciare l'Italia. Come? Se nel cie (centro di identificazione ed espulsione) e sull'aereo non c'è posto, la questura gli rilascerà un foglio di via. Non se ne andrà, le voci girano. Sa bene che bisogna essere davvero sfortunati per trovare posto nel cie o su un volo. Magari conosce connazionali che hanno collezionato più di un foglio di via, più di un decreto d'espulsione. Sa come farla franca. Lo sa bene il "collega" della Guinea francese fermato con un borsone pieno di cd e dvd falsi, già segnalato per reati specifici ma mai condannato. Nemmeno questa volta. Un senegalese fermato per lo stesso reato del guineano, con 4 condanne per reati specifici sulle spalle, ora, con quest'ultima a 6 mesi di reclusione, non può che finire in carcere. La speranza è che dopo aver scontato la pena si riesca a rimandarlo in patria visto che non ci si è riusciti in 8 anni durante i quali ha praticato senza riserve l'ambulantato abusivo. Stessa sorte tocca a una signorina nigeriana che dice di fare la parrucchiera ma non sa dire dove lavora e non ha documenti. Già processata ed espulsa fisicamente dall'Italia, è libera. Dovrà ricomparire tra qualche mese davanti al giudice per un capriccio della difesa che lascia perplessa anche la Corte e che costerà ai cittadini qualche centinaio di euro in più. Lei, chiaramente, non si ripresenterà. Prima di espellerla per la seconda volta bisognerà fermarla e processarla di nuovo. Un'ucraina giustifica la sua inottemperanza al decreto d'espulsione dicendo di non aver capito cosa ci fosse scritto sul foglio. Un brusio di risatine serpeggia nell'aula. Ridono le parti, ridono agenti e carabinieri. Il giudice fulmina con lo sguardo la platea, ma viene da ridere anche a lui. Questa scusa della lingua incomprensibile, comunque, non regge più. Ora è sufficiente che il documento d'espulsione sia scritto in una lingua internazionale. Per l'ucraina caduta dalle nuvole liberazione immediata e un ulteriore invito a lasciare la Penisola. Chi può dire se sia stato troppo buono quel giudice che ha liberato due romeni ubriachi e un italiano fermati per rissa aggravata. Forse lo è stato per uno dei due comunitari, già arrestato per lo stesso reato. Altrettanto bene se l'è cavata un giovane romeno fermato in compagnia di un italiano mentre discutevano, in auto, con una decina di grammi di cocaina già divisa in dosi sotto il cruscotto. Un suo connazionale sorpreso ad armeggiare con un cacciavite sulla portiera di un'automobile, pur non essendo un meccanico, se la cava invece con l'obbligo di firma per un paio di mesi. Una rom che può vantare di essere stata fermata 13 volte per furto, una per ricettazione, una per rapina e ora è evasa dai domiciliari - dal box del campo nomadi - non regge alla condanna a pochi mesi di carcere e in camera di sicurezza inizia ad autoflaggellarsi con i pugni il volto. Eppure, forse grazie ai suoi 5 figli a carico, in tanti anni di attività era stata condannata una sola volta. Giovani romene, badanti per professione, prediligono colpire i supermercati. Per loro, incensurate, solo un rimbrotto. Per una che ha rubato qualche capo di vestiario è d'obbligo un'immediata liberazione. E si è dovuto procedere in fretta. Perché tempo 30 minuti e si sarebbero superate le 24 ore entro cui era possibile convalidare l'arresto. Per il furto perpetrato dalle sue connazionali, aggravato dalla presenza di due bambini, la sentenza non cambia: liberatele. Una nomade di origini bosniache già assolta per il reato di spaccio, può cantare, come loro, vittoria. L'eroina che aveva in baracca, non era sua. Assolta per la seconda volta. Questi non sono casi isolati, sono la regola. Su un campione di 100 arresti fatti dai carabinieri nell'arco di 10 giorni, quasi la metà delle direttissime si risolvono con una liberazione immediata, il 20 per cento con misure cautelari alternative al carcere, un altro 25 per cento con il carcere e una minima parte con l'espulsione dal territorio nazionale condizionata dal processo che si dovrà svolgere da lì a qualche mese. E non è raro, dopo pochi giorni, incontrare di nuovo in aula per la convalida del suo arresto chi è in attesa di giudizio. Un dato, estrapolato dal campione dei 100 fermati, dimostra che la maggior parte sono pregiudicati: 58, di cui 19 romeni (su 38 fermati) e 17 italiani (su 32 fermati). Se i carabinieri scuotono rassegnati la testa, ci sarà pure un motivo. Così come buoni motivi per arrabbiarsi hanno gli italiani. Perché se militari e poliziotti passano quasi tutto il tempo a loro disposizione in centrale per le segnalazioni, in Tribunale per convalidare gli arresti e poi all'ufficio stranieri per le espulsioni, è evidente che non possono prestare servizio in strada.

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