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Roma, Piano regolatore carente nella mobilità

Il centro di Roma

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«Se il Prg verrà approvato, il prossimo sindaco di Roma avrà una bella gatta da pelare. Se non verrà approvato avrà invece l'obbligo morale di dare alla città, da un punto di vista urbanistico, un futuro di crescita e sviluppo degno di una Città metropolitana». Così scriveva Il Tempo 3 giorni prima che il Comune di Roma, guidato da Veltroni, deliberasse l'approvazione in fretta e furia del nuovo Piano regolatore generale. Il Piano fu approvato tra le accese proteste dell'allora opposizione di Centrodestra, il più che sofferto beneplacito della Sinistra Arcobaleno e dei Verdi, la rabbia e la gioia di grandi gruppi immobiliari. Chi aveva avuto aveva avuto, chi aveva dato aveva dato, Veltroni aveva fretta di diventare presidente del Consiglio e voleva passare alla storia come colui che aveva dato a Roma, dopo quasi mezzo secolo, un nuovo strumento urbanistico. E così, in barba al comma 6 dell'articolo 66 bis della legge regionale 38/1999, Walter s'appuntò sul petto una medaglia che non meritava. Ma non la meritava tanto per aver tradito la fiducia della Regione - che con quella norma del 1999 permetteva al Comune di velocizzare le procedure per varare il nuovo Prg bypassando i ritardi del Ptpr (Piano territoriale paesistico regionale) - quanto per il fatto che il nuovo Piano fosse carente sotto molti aspetti tecnici e così approvato, senza cioè correggere i vuoti macroscopici che conteneva, avrebbe fatto più male che bene a Roma. Uno dei punti più carenti riguardava la mobilità. I romani sanno quanto siano importanti viabilità e trasporti pubblici, ci fanno i conti tutti i giorni. E sanno anche che non serve essere un urbanista per capire che negli ultimi decenni la città si è espansa velocemente, superando addirittura i suoi stessi confini, senza che le amministrazioni succedutesi abbiano adeguato strade e servizi di trasporto pubblico. Nessuno, insomma, ha pensato a un Piano strategico per rendere ai cittadini la vita più semplice. Se ciò era sotto gli occhi di tutti, lo era anche sotto quelli di Veltroni. Ma lui aveva fretta. Troppa. Tanto che se ne è accorto anche il Tar. E Alemanno, ora, ha ben due gatte da pelare. Intanto, mentre la vicenda giudiziaria va avanti, Roma si semiparalizza. «Semi» perché, se da una parte gli accordi di programma proseguono - questi strumenti erano e restano l'unico motore dell'urbanistica capitolina - le concessioni si bloccano. Nessun dirigente tecnico degli uffici comunali, infatti, si assumerà la responsabilità di dare concessioni edilizie. Ciò provocherà inevitabilmente un danno economico. Perché due gatte. Perché se il Consiglio di Stato confermerà la sentenza del Tar, l'amministrazione capitolina, invece di potersi subito concentrare per riempire i vuoti tecnici e normativi del nuovo Prg, dovrà rimediare allo «sgarro» di Veltroni che riporta il Piano regolatore alla fase delle controdeduzioni e quindi alla delibera 64 del 21/22 marzo 2006. Due anni buttati, che per Roma sono tanti, ma soprattutto 60 milioni di euro sprecati. Tanto è costato il "gioiellino" di Veltroni. A questo punto Alemanno avrà due possibilità: o annullare le modifiche apportate al Piano all'ultimo momento e tornare col Prg "pulito" in conferenza di copianificazione con la Regione e poi in Consiglio comunale per l'approvazione; o difendere le modifiche veltroniane ripartendo dalla loro pubblicazione passando per le osservazioni, le controdeduzioni e l'iter di copianificazione regionale. Nel primo caso ci vorrà più di un anno, nel secondo più di 3 anni, sempre che qualcuno riesca a ricomporre il puzzle delle modifiche apportate. Al sindaco Gianni Alemanno non resta che far bollire l'acqua. Le gatte son pronte.

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