Dalla fusione di Forza Italia con Alleanza Nazionale, non potrà esserci spazio per il «pensiero unico».
Essanon significa tanto — come potrebbe apparire e come è stata letta, in realtà, dai più — una messa in discussione della tradizione culturale identitaria tipica della destra italiana, quanto piuttosto, a ben vedere, l'imposizione di una ipoteca sulla politica e sulle scelte culturali del nuovo soggetto politico in gestazione. Rispetto a Forza Italia, infatti, Alleanza Nazionale ha una storia molto diversa nella quale la dimensione culturale o, se si preferisce, la sensibilità nei confronti della cultura, nella accezione più vasta del termine, è stata sempre particolarmente accentuata. È vero, peraltro, che — a causa della egemonia culturale di sinistra, della ghettizzazione politica nonché di un complesso di inferiorità che spingeva all'autoemarginazione — la destra, almeno prima della trasformazione del Movimento sociale italiano in Alleanza Nazionale dopo lo storico convegno di Fiuggi, si era chiusa in se stessa, scegliendo acriticamente alcuni punti di riferimento che andavano dal pensiero reazionario e conservatore fino alle espressioni culturali maturate durante il ventennio fascista, in Italia e all'estero. Con una preferenza, semmai, per quelle manifestazioni di cultura europea, tedesca e francese in primo luogo, che — si pensi per esempio a Drieu La Rochelle o a Ernst Junger — sembravano evocare romanticamente il fascino di un crepuscolo tragico ed eroico. Questa destra politica, fatta di «esuli in patria», di reietti del sistema democratico, cominciò a maturare l'idea di una sorta di «superiorità culturale» rispetto all'egemonia di sinistra, radicale e marxista, e si chiuse sempre più, in atteggiamento quasi solipsistico, a difesa della cittadella della cosiddetta «cultura di destra»: una locuzione, questa, che ebbe grande successo negli anni settanta e ottanta. Una locuzione che esprimeva, certo, una visione chiusa della cultura e che mirava, di fatto, a mantenere in piedi antichi steccati. Dopo la caduta del muro e il crollo dei regimi comunisti, dopo l'inizio dell'epoca della «fine delle ideologie» le cose cambiarono. Negli ambienti dei missini e dintorni, accanto a certe icone culturali classiche, cominciarono a fare la loro apparizione altri autori e filoni di pensiero come il liberalismo e la democrazia concorrenziale. Il congresso di Fiuggi fu importante non solo sul piano politico, ma anche su quello culturale perché segnò il passaggio dall'idea di una «cultura di destra», autoreferenziale, da difendere e opporre a ogni altra manifestazione speculativa, all'idea di una «cultura» a tutto tondo. Senza aggettivi e senza preclusioni. E, da quel momento, pur fra prevedibili e comprensibili resistenze, la destra, sul terreno della cultura, imboccò una strada irreversibile, il cui punto d'arrivo è stato, di fatto, indicato da Fini. Diversa è la storia di Forza Italia: un partito post-ideologico, privo di quel radicamento territoriale tipico del Movimento Sociale, prima, e di Alleanza Nazionale poi. Un partito, per sua stessa natura, meno attento e meno sensibile, naturalmente con alcune eccezioni, alle tematiche culturali e assai più pragmatico. Queste differenze avranno il loro peso nel soggetto politico nuovo, che nascerà dalla fusione di Alleanza Nazionale e Forza Italia. Un soggetto politico all'interno del quale la tradizione culturale della destra, liberatasi dai dogmatismi e dalle chiusure del passato, potrà svolgere una sua funzione importante. Una funzione di baluardo contro il «pensiero unico» di qualunque colore. Francesco Perfetti