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Non ci sono più alibi Si naviga in mare aperto

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E a quelle parole deve aver pensato, quelle esortazioni deve aver immaginato il presidente della Camera mentre pensava, nei giorni scorsi, al suo intervento all'ultimo congresso di An. E mentre scriveva appunti minuti su quei fogli stretti e lunghi che sono passati uno dietro l'altro nelle sue mani durante il suo discorso dal palco del padiglione alla nuova Fiera di Roma. Anche perché, nel ricordare proprio l'uomo che più di tutti volle Alleanza nazionale, Fini ha usato le stesse parole che pronunciò alla commemorazione - dieci anni prima - dell'ex vicepresidente del Consiglio. «Perché ci invitavi a rispondere agli avversari, allora nemici ebbri di furore ideologico, con la forza del ragionamento», disse allora riferendosi agli anni Settanta. Tutto si tiene. Il filo conduttore è sempre lo stesso: pensare in grande, guardare avanti, volare alto. Il Fini di ieri è un Fini dolce e rispettoso nei confronti di Berlusconi. Gli riconosce di non essere stato una meteora nel mondo della politica, sottolinea che Forza Italia non era un partito di plastica. E, soprattutto, pone l'accento sul fatto che ci sarà un partito unitario, non un pensiero unico. Ma a fianco a queste considerazioni Fini mette i paletti in modo rigoroso su un nuovo modo di essere nel rapporto con il Cavaliere: gli si può stare a fianco senza esserne dipendenti. Si può essere autonomi, anche nello scegliere tempi e modi per diventare delfino. I messaggi più forti e chiari, tuttavia, sono all'interno del partito nel momento in cui si scioglie. E qui il leader della destra italiana fa capire in modo chiaro che il «partito è uno strumento». Non lo dice ma pare di capire che, dunque, non è una fede. Avverte in modo inequivocabile che adesso «tutti sono in discussione», a cominciare da lui. Che poi è un modo gentile per dire che è finita l'epoca in cui si bussava alla sua porta per chiedere un sottosegretariato, è finita l'epoca della questua per una poltroncina in un ente pubblico, non c'è più mamma chioccia che tutti difende e tutti protegge a prescindere da capacità, meriti e valutazioni. Il mare è aperto, chi sa nuotare può cominciare a muovere le braccia. Chi non riesce a stare a galla si dia ad altri mestieri, se non vuole andare a fondo. Per chi avesse ancora qualche residuo di dubbio, mette in chiaro che non ci sarà alcuna corrente di An nella nuovo soggetto. Il Pdl che immagina l'ex capo della formazione di via della Scrofa è il partito della Nazione. Non si definisce di destra, né di centro, non ha paura a sconfinare a sinistra. Anzi, non si pone il problema conscio del fatto che si tratta di confini novecenteschi, superati, archiviati. Immagina l'Italia del 2030. Un Paese multietnico, multireligioso, figlio di immigrati. S'impegna per la difesa dei diritti civili. Insomma, dalla sua bocca esce un partito esattamente all'opposto di quello che dallo stesso pulpito si sono affannati a sostenere i big di An. Nel week end del congresso, infatti, a vario titolo ministri e sottosegretari hanno urlato, strillato, voluto in tutti i modi rasserenare una platea serena, rassicurare la base sicura, tranquillizzare militanti mansueti. Ore e ore di eloqui paradossali, fuori tempo, fuori modo perché i delegati di An avevano assolutamente ben chiaro cosa stesse accadendo, come e perché. E tutto sommato erano anche dispiaciuti che si fosse perso tutto questo tempo. Si sono uditi discorsi, anche da alti esponenti, che andavano bene per la campagna elettorale per il consiglio comunale di Pollena Trocchia, con tutto il rispetto per il Municipio partenopeo, che per il congresso di una forza al governo del Paese. Sono state pronunciate frasi che avrebbero imbarazzato anche i bimbi di una scuola elementare, tanta era la loro vacuità e la loro banalità. Soltanto Gianni Alemanno ha dimostrato di avere in mente un'altra destra, un progetto organico per una nuova Italia. L'Italia dei valori e delle identità. Non solo Fini, c'è un'alternativa. Così il congresso consegna volti nuovi. Il già pluricelebrato Roberto Menia, che adesso si prepara a riorganizzare il dissenso interno al Pdl. E ancora più di lui Pasquale Viespoli, il cui intervento è stato sostanzialmente ignorato. A torto perché Viespoli, troppo spesso tenuto in panchina, immagina di affrontare la crisi con «il rilancio del modello sociale italiano, di sviluppo, politico, culturale, rurale». E non a caso annota che dal palco si sono sentite troppo spesso «risposte del passato a domande del futuro». E infine Fabio Rampelli, uno che quando nasceva An già si batteva per la sostituzione edilizia, nuovi edifici di bio-edilizia sulle brutture degli scorsi decenni: vedi Corviale. Tutto il resto è noia. O quasi tutto. E non s'offenda Franco Califano.

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