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"Non chiamateci graffitari" Nella Street art il futuro dell'arte

Street art, un'opera di Sten e Lex a Londra

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{{IMG_SX}} La street art, arte di strada, è una delle espressioni artistiche più controverse del panorama contemporaneo. Per alcuni è una reinterpretazione dello spazio urbano, una ricerca estetica contro il degrado delle periferie, per altri è una pratica vandalica che non ha nulla da spartire con l'Arte, quella con la "a" maiuscola. «L'arte tradizionale ha come obiettivo l'immortalità dell'opera e del suo autore. Nella street art invece i lavori vivono il tempo che la strada vuole regalargli». Sten e Lex sono due dei protagonisti della scena romana dell'arte di strada, di mostre e festival europei (come il Can's Festival e il Brick Lane di Londra e il Nu Art, in Norvegia), organizzatori dal 2006 dell'International Poster Art di Roma, corteggiati tanto dai circuiti alternativi quanto dai galleristi del centro che fiutano l'affare, dopo che artisti americani o inglesi come il celeberrimo Banksy hanno raggiunto quotazioni di centinaia di migliaia di euro. «Tutto è nato nel 2001 con un viaggio in Irlanda, a Cork, dove abbiamo imparato le tecniche di incisione e di produzione di stencil. Non abbiamo iniziato con il writing, con i graffiti, come è successo ad altri. Le nostre ispirazioni vengono dalla grafica: dalle incisioni di Gustave Doré come dagli annuari scolastici». Il rapporto tra opera e paesaggio è cruciale? «Soggetto e formato vengono elaborati in base al luogo scelto. Ad esempio J.r., un artista francese, applica poster provocatori su intere facciate di palazzi». Un pubblico enorme rispetto a quello di una galleria? «Molti street artist producono messaggi politici e impongono il loro punto di vista in opere di forte impatto, anche per farsi notare nel mercato dell'arte. Per noi è una ricerca esclusivamente estetica, è la città e la gente che la vive tutti i giorni a dare il significato alle opere. Anche per questo spesso facciamo ritratti di volti anonimi, espressioni che suggeriscono una storia.»  Certo è un modo di esprimersi al limite della legalità... I poster che allestiamo sono dipinti a mano su carta di riso, è una pittura meno invasiva dello spray sul muro. Tecnicamente può essere interpretato non come un atto vandalico, ma una affissione abusiva. Qualche multa l'abbiamo presa, ma spesso accade che un poster diventa parte integrante del paesaggio, come a Roma, al Pigneto, dove un nostro lavoro è riconosciuto come un simbolo del quartiere». E il circuito tradizionale dall'arte? «Partecipiamo a mostre personali e collettive, non ci dispiace essere in galleria, ma modifica il nostro stile. Dobbiamo ridimensionare le opere che racchiuse in una cornice appaiono decontestualizzate. Per questo usiamo materiali non convenzionali simili a quelli che troviamo in strada come legno, vetro, metallo, e anche i tempi di realizzazione sono diversi. Sulla strada l'esecuzione è veloce e il risultato non è mai sicuro per il fatto che si tratta di una cosa illegale, ma dietro al gesto veloce nella notte c'è un lungo lavoro di preparazione in studio». Poi ci sono i festival dedicati. «È il maggior canale per raggiungere quella visibilità all'estero che, paradossalmente, serve a farsi conoscere anche in Italia, anche se il curriculum di uno street artist si basa su quello che si fa in strada. Per questo i critici quando ne portano qualcuno in galleria fanno fatica a quotarli: molti hanno grande visibilità ma non hanno alcun mercato tra i collezionisti anche perché a differenza dei "graffitari" molti non si firmano, lasciano che la riconoscibilità sia data dal loro stile».

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