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Doris: «Contro la recessione etica e attenzione alle famiglie»

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RacheleZinzocchi «Esiste un potentissimo solvente. In dosi anche minime può danneggiare un elettrodomestico in modo irreversibile. È stato rinvenuto nel 99% delle cellule tumorali. Viene usato nelle centrali nucleari e nelle industrie che producono armi chimiche». Parole di terrore quelle di Ennio Doris, Presidente di Banca Mediolanum, dinanzi alla platea accorsa a Latina per ascoltare il suo pensiero sulla crisi. «Ma cos'è questo liquido terribile?» continua in un crescendo di pathos, portandosene alla bocca un bicchiere e sorseggiandolo. «È acqua». Ebbene sì. L'inquietante sostanza altro non è che acqua. Risposta spiazzante come il magistrale coup de théâtre di Doris, per mostrare che tutto dipende da come si guarda alle cose. L'acqua fa male, se male usata. Ma in milioni di casi è fonte di vita. Chi ha una visione parziale dei fatti si perde in un «bicchier d'acqua»: quello che appunto non saremmo neanche più in grado di riconoscere. Come l'attuale crisi: devastante in questo 2009, «l'anno peggiore dal Dopoguerra», ma che forse ha in sé la via d'uscita. «Io non ho paura. La crisi finirà». Sì. Ma quando? E come? Al mondo della finanza si impone una riflessione. Il business non può restare ciò che è stato finora: orientato in via esclusiva alla massimizzazione del profitto, a ogni costo e nel minor tempo possibile. Presidente, una «finanza creativa» e divertita, all'insegna del profitto «tutto e subito», ha fatto nascere mutui subprime e titoli tossici. Il «business per il business» ha creato il suo opposto: la recessione mondiale. Per uscirne servirà il contrario un'«etica del business» razionale e memore dei valori, nell'interesse proprio e in quello di tante famiglie? «Etica ed attenzione alle famiglie sono il mio principio costante. Con Berlusconi volevamo creare un'azienda che durasse per sempre. E basi solide stanno solo in un rapporto di trasparenza e fiducia col cliente: di aiuto, quando necessario. Sposare le sue esigenze, sostenerlo nei momenti difficili, è la mossa vincente. Una scelta etica può costare nell'immediato, ma alla lunga è premiante anche economicamente. Il mio altruismo è la mia massima forma di egoismo. Un'etica sana il business può solo migliorarlo». A quali scelte l'ha portata la sua etica di business? «Ad esempio a rinunciare a 65 milioni di ricavi, pur di consentire a tutti di pagare il mutuo quando la rata variabile è schizzata alle stelle. Mi sono detto: Non posso ignorare le difficoltà dei miei clienti. Così, pur senza obbligo, abbiamo creato un nuovo mutuo, con spread più basso e condizioni migliori, esteso a tutti. Risultato? Il mutuo costerà a tutti - clienti vecchi e nuovi - 30.000 euro in meno, noi per 20 anni avremo tre milioni e mezzo in meno di ricavi l'anno. Ma ci è arrivata una valanga di nuove richieste di mutui. Facendo vincere il cliente abbiamo vinto anche noi». E chi aveva titoli Lehman Brothers? «Stesso principio. Non potevamo stare a guardare la rovina di chi aveva creduto in noi, in prodotti che anche noi avevamo offerto. Così i clienti li abbiamo risarciti direttamente. Solo noi azionisti di maggioranza: per non costringere gli altri a una solidarietà non dovuta». I superbonus ai manager, che tante banche hanno elargito. Non ci vorrebbe un po' di etica anche lì? «Infatti sono molto arrabbiato. Questa storia grida vendetta. Tra i primi motivi della crisi ci sono proprio le stock options legate ai risultati dell'azienda nel singolo anno, cui io sono totalmente contrario. Il manager che può contare su un premio ricchissimo sul risultato dell'anno prenderà decisioni mirate ad aumentare il reddito nell'immediato, col rischio però di indebolire l'azienda alla lunga. Tanto, domani sarà qualcun altro a fare i conti coi problemi. In America le aziende padronali quotate in Borsa hanno risultati migliori delle public company dei manager. Queste hanno un'ottica di breve, talora cieca. Le aziende di famiglia invece guardano sempre al futuro. Ciò mette ai ripari dai drammi cui assistiamo oggi». Il Governo sembra attento. Pensiamo ai «Tremonti bond»: aiutare le banche affinché queste aiutino le imprese e, dunque, le famiglie. «È stata una scelta vincente. Appena il Banco Popolare ha annunciato che li avrebbe richiesti, è salito in Borsa. Ma c'è di più. Il primo passo per uscire dalla crisi è stato fatto proprio in Italia, a metà ottobre. Allora chiunque tremava, persino per i conti correnti. In America salvavano una banca, ma non si sapeva se ce ne sarebbe stata un'altra e quale. Da noi il Governo ha stanziato un fondo di venti miliardi per tutte le banche che ne avessero avuto bisogno. Così ha dato sicurezza. L'esempio è stato seguito da Brown, Sarkozy, la Merkel, poi dall'America. Non lo troviamo scritto sui giornali, ma la soluzione al problema del mercato bancario è nata in Italia». Cambierà qualcosa nei grandi equilibri dei colossi bancari? «Non al momento. Molto era già stato fatto prima della crisi. Ora siamo in una fase di riflessione: le banche cercano di consolidare le posizioni acquisite. Ma nulla resta fermo. Quando saremo fuori dalla crisi e si inizierà a guardare avanti, allora sì, gli equilibri muteranno ancora. In che direzione, è tutto da vedere».

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