Applausi freddi. Poi Menia scalda tutta la platea
Fino a quel momento non c'erano state particolari emozioni. Un po' di commozione all'inizio. Ma per il resto tutto si era svolto senza particolare pathos. Fino a quando, a metà pomeriggio, arriva lui a smuovere le acque. Anzi, ad agitarle proprio, tanto da guadagnarsi il titolo di "dissidente". Roberto Menia, l'unico dirigente di Alleanza nazionale a salire sul palco dell'ultimo congresso del partito per criticare la scelta di sciogliersi per confluire nel Pdl. «Quanto c'era bisogno di arrivare così in fretta?», chiede il sottosegretario all'Ambiente. Perché l'averlo fatto «ha depotenziato in termini valoriali e di contenuti» il nostro progetto. Seduti al tavolo dei relatori c'erano tutti i vertici di via della Scrofa. E lui lancia l'affondo: «Io non ho voglia di sciogliermi in niente e voglio che sia un Popolo della Libertà anche nelle discussioni interne e nel diritto di professare ogni idea». In sostanza, quello che il dirigente di An rivendica è la maggiore difesa di quello che il partito è, pur costruendo qualcosa di diverso, «ma che non può essere la somma di due identità, sennò finiamo per fare gli ospiti». Un intervento che piace: molti delegati si alzano in piedi e applaudono calorosamente il "dissidente". E non solo. Appena sceso dal palco molti gli vanno incontro in lacrime, per abbracciarlo o per fargli semplicemente i complimenti. «Ho interpretato un sentimento latente e inespresso. Non cerco di essere un eroe», spiega il deputato triestino ad una cronista. Dopo Menia parla Giorgia Meloni che recita con ardore Marinetti per difendere le ragioni del trasloco nel Popolo della Libertà. E anche qui, lacrime e grande applauso per il giovane ministro. Sono questi i primi momenti di vero pathos, in una giornata altrimenti senza lacrime. Lo scioglimento di An avviene davanti a 1.800 delegati raccolti in un padiglione della Nuova Fiera di Roma. A poche centinaia di metri corrono le automobili sull'autostrada Roma-Fiumicino, e un forte vento di tramontana, del tutto anomalo per il giorno di ingresso nella primavera, intirizzisce i partecipanti che si avventurano fuori dalla sala. Il congresso si apre con la musica: prima Enrico Ruggeri che canta "Si può dare di più", e poi il canonico Inno nazionale intonato da un coro di bambini. Un lungo applauso accoglie l'ingresso di Gianfranco Fini, seduto in prima fila tra il suo portavoce Fabrizio Alfano e la storica e unica segretaria, Rita Marino. Ascolta tutti, il presidente della Camera. Prende appunti, osserva. Ma non interviene, in rispetto del suo ruolo di presidente della Camera. Sembra persino non emozionarsi. «Sono sereno - spiega Fini ai giornalisti -. Forse domani (oggi ndr) mi emozionerò». Oggi, infatti, sarà proprio Fini a chiudere il congresso: un intervento in cui, come ha già preannunciato, si toglierà la veste ufficiale per tornare in campo da uomo di partito. La scenografia allestita nel padiglione numero otto è dominata dal blu e, come si sa, sarà la stessa che tra una settimana celebrerà il congresso di nascita del Pdl. È presente tutto lo stato maggiore di via della Scrofa: sul palco (lunghissimo, 50 metri, con il podio per i relatori posto sopra un ponte, a significare il momento di passaggio) i colonnelli La Russa, Matteoli, Alemanno, Gasparri; le donne Giorgia Meloni, Barbara Saltamartini, Viviana Beccalossi, Anna Maria Bernini; i "veterani" Mirko Tremaglia e Franco Servello, cui viene affidato il compito di presiedere l'assise. Per tutti look classico. Molti dei colonnelli sfoggiano cravatte dai toni accesi, viste dallo schermo sono quasi fosforescenti: rossa quella di Gasparri, rosa quella di Urso, violacea quella di Bocchino. Dietro i relatori lo slogan del congresso: «Nasce il partito degli italiani». Pochi gli ospiti: c'è il presidente del Senato, Renato Schifani, ci sono Fabrizio Cicchitto e Gaetano Quagliariello, c'è l'Udc Mario Tassone, il socialista Bobo Craxi. Dalla musica iniziale si passa alle immagini con un video dedicato a Giorgio Almirante. Un filmato di 2 minuti e 47 secondi che si chiude con l'ultima frase dell'autobiografia dell'esponente dell'Msi: «Vivi come se dovessi morire domani, pensa come se non dovessi morire mai». Tutta la sala applaude in piedi. Sono tantissimi i giovani arrivati da tutta Italia. Ci sono anche i giovanissimi delle fondazioni, dei circoli e delle associazioni armati di bandiere, bandana, spillette e, al polso, il cordoncino tricolore. Per due terzi della giornata, a parte i mugugni espressi quasi in privato da diversi intervistati sulla nostalgia di passato ma anche di futuro («belle le sezioni di una volta», ma anche «bisogna semplificare il quadro e guardare avanti») la grande assente è la passione. Tra un intervento e l'altro c'è stata anche una raccolta di firme. I giovani, infatti, hanno raccolto oltre 300 firme dei delegati di Azione giovani ed Azione universitaria per presentare due ordini del giorno al congresso di An, puntando ad un ricambio generazionale e reclamando nel Pdl «un movimento giovanile forte ed incisivo». Prima firmataria il ministro della Gioventù e leader di Azione giovani Giorgia Meloni. Niente lacrime dunque, nessun rimpianto. Per la Fiamma o per un passato che - sembra alla Fiera di Roma - sembra già lontano. Come se fossero passati già anni dal matrimonio tra Forza Italia e An. Come se tutti avessero "digerito" la fusione già da tempo. Con scetticismo e paura di quello che si diventerà. «Non ci hanno mai regalato nulla, il nostro spazio ce lo andremo a conquistare da militanti», promette Filippo Ascierto, «non ammaineremo le nostre bandiere», è il refrain anche di Ronchi. «Oggi però è il giorno del nuovo inizio e quindi più della nostalgia prevale l'entusiasmo», assicura Gianni Alemanno. Insomma, c'è voglia di normalità, e l'identità rivendicata dal video di Almirante e da alcuni interventi più appassionati, una volta usciti dalla sala congressuale, spinge qualcuno a comprare spille e adesivi della fiamma al banco dei gadget. Il grande volume dei discorsi di Almirante viene molto sfogliato ma poco acquistato. Accanto ci sono due libri di Sarkozy, con la prefazione di Fini. E poco più in là, lo stand del sindacato della destra Ugl, distribuisce un opuscolo sull'integrazione degli extracomunitari,intitolato «L'immigrazione è una risorsa». Nello stand dei gadget, le magliette con su scritto «100% italiano» non trovano molti acquirenti. I tempi cambiano, o forse sono già cambiati. Oggi, la grande attesa per il discorso di Gianfranco Fini. E, forse, anche per qualche lacrima.