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Quella sera maledetta di San Valentino

Controlli di polizia al parco della Caffarella

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È il 14 febbraio all'imbrunire. Due fidanzatini, 14-15 anni, passeggiano mano nella mano in via Latina nella vicinanze del parco della Caffarella. È San Valentino e celebrano così la festa degli innamorati. Intorno alle 18, a Largo Tacchi Venturi vicino al passaggio pedonale che porta all'interno dell'area verde vengono aggrediti da due stranieri con un forte accento dell'Est Europa. Dopo aver preso a schiaffi e buttato a terra più volte il ragazzo, s'avventano sulla ragazza, l'immobilizzano e la violentano entrambi, dietro un cespuglio. Senza pietà e con la complicità del buio. Nessuno sente le grida della giovane in balia degli aguzzini. I due poi si allontanano portandosi dietro i cellulari dei ragazzi. I ragazzi, sotto choc, chiedono aiuto al titolare di un bar vicino, in via Amedeo Crivellucci, che chiamano la polizia. Immediati i soccorsi degli agenti e del 118, che portano i due quindicenni all'ospedale San Giovanni. I medici del San Giovanni, riscontrano sul corpo della ragazza i segni della violenza subita. Vengono divulgati particolari raccapriccianti. Sembra inoltre che la giovane, che frequenta un liceo classico nella zona, ha cercato di sottrarsi vanamente alla bestialità degli aggressori. Viene dimessa a tarda sera e i genitori chiedono vendetta. Gli abitanti del quartiere sono sgomenti. La caccia ai bruti s'apre subito con una battuta nel parco da parte della Guardia Forestale alla ricerca dei due aggressori. I poliziotti impegnati sono una cinquantina. La polizia identifica il luogo dove è avvenuta la violenza e trova tracce inequivocabili dell'avvenuto stupro. Si vocifera pure che gli aggressori potrebbero essere rom oppure rumeni: uno dei due avrebbe la carnagione scura. Poi il 18 febbraio, la svolta. Gli agenti della polizia di Stato con i colleghi della polizia romena e gli uomini del Commissariato Primavalle fermano due rumeni. Uno, Alexandru Istoika Loyos, ha 20 anni viene bloccato alle 4 di mattina, l'altro, Karol Racz qualche ora dopo. Loyos è uno degli otto romeni portati in Questura, la sera prima, per accertamenti. Nel corso delle ore poi, i sospetti verso il romeno si trasformano in indizi fino alla confessione. L'altro è già fuggito dalla Capitale ma viene raggiunto in un campo nomadi del Cisternino, nella campagna livornese. «Non so perchè, non so come è successo, volevamo solo rapinarli, poi improvvisamente tutto è cambiato» dice Loyos alla polizia. E poi, sfrontato: «Perchè l'ho fatto? Per dispetto». Entrambi sono già conosciuti alle forze dell'ordine di Roma. Negli archivi della Questura c'erano le loro fotosegnalazioni. Il più giovane è già stato arrestato per furto e ricettazione. A suo carico nel 2008 l'ex prefetto di Roma Carlo Mosca aveva firmato un decreto di espulsione, poi annullato da un giudice di Bologna. L'altro romeno, invece, in Romania ha scontato tre anni di carcere per furto e ricettazione. I primi esami del Dna confermano tutto: sono proprio loro gli aggressori. Vengono ricosciuti anche dalle vittime. Il 5 marzo arriva la doccia fredda: gli ulteriori accertamenti disposti dalla Procura di Roma danno, questa volta, esito negativo. Non si è trattato di un nuovo esame ma di una comparazione del dna prelevato dalla Scientifica e quello dei due indagati. A Karol Racz, intanto, è stata notificata un'altra ordinanza di custodia cautelare, questa volta per lo stupro di una donna di 41 anni avvenuto la sera del 21 gennaio scorso in via Andersen, nel quartiere romano di Primavalle. Anche Alexandru Loyos resta in carcere. A metterlo nei guai sono le accuse, lanciate dal «biondino» contro la polizia romena. Ulteriori accertamenti scagionano Racz, faccia da pugile, dallo stupro di Via Andersen.

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