Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

Così conquistarono il Paese nel 1994

Maria Latella

  • a
  • a
  • a

C'è un pezzo di Roma che non vuole più votare Dc, perciò Bossi si stringe nel suo monopetto grigio stazzonato, un completo provato da una giornata a Montecitorio, e tira fuori l'aria del venditore di enciclopedie che sta di fronte al cliente giusto. Va a sedersi al tavolo d'onore, tra l'industriale Paolo Romanazzi (...) e la signora Maria Pia Dell'Utri, leghista romana della prima ora e moglie del pezzo grosso Fininvest che, invece, appoggia il partito berlusconiano che non c'è ma potrebbe esserci, Forza Italia per capirci. Siamo a Trastevere, in casa di Guia Suspisio, napoletana sposata a un triestino di professione finanziere. La gente arriva a coppie, mariti in abito scuro, mogli in alta uniforme, però, essendo la serata in onore di Bossi, la tenuta è influenzata da una certa sobrietà lombarda. Le belle romane sulla quarantina trattengono la naturale esuberanza: pochi gioielli perciò. Ci sono segnali che a Roma non si possono sottovalutare. Il principe Carlo Giovanelli, per esempio, uno che di rado sbaglia su dove va a spirare il vento. Sospira, il gentiluomo: «Mia nonna, che frequentava gli ambienti di corte, mi raccontava che anche Mussolini prese lezioni di stile». Giovannelli trova che il Senatur sia «molto umano» e gli piacerebbe farne «un aggressivo moderato». Ecco un tavolo tutto femminile, la candidata sindaco della Lega, Maria Ilda Germontani, e Maria Angiolillo, vedova del fondatore del «Tempo», per decenni animatrice di un democristianissimo salotto. Negli ultimi anni però l'accortissima signora è rimasta parecchio nell'ombra e questa sua inattesa uscita, lei che per scelta non va da nessuno giacché chi vuole vederla va da lei, si rivela un segnale: qualcosa di grosso, qualcosa di vero, si sta sul serio muovendo nella politica italiana. Dal 1994 in poi il suo salotto sarà centrale per gli incontri di potere e più nessuno, ministri di centro- sinistra o centro-destra, anchormen e anchorwomen, direttori di quotidiani e finanzieri, si preoccuperà più di tanto se il fotografo Umberto Pizzi li immortalerà all'uscita dell'ormai noto villino. Tornando a casa Suspisio, ecco arrivare i giornalisti Silvio Sarta e Fabrizio Del Noce, la contessa Maria Gabriella Ruffo della Scaletta, in rotta con la famiglia per aver confidato che Andreotti frequentava Lima. L'orchestrina attacca "If you say forever", Bossi si avvicina al microfono: canterà? No, parla. I presenti sono ancora alla crostata di frutta, ma il Senatur, implacabile, gli rifila tre quarti d'ora buoni di comizio, il repertorio più recente: il Grande Centro non esiste, la Lega resterà da sola. Dopo la prima mezz'ora gli ospiti più intraprendenti si distraggono e cominciano a corteggiare le avvenenti vicine di tavolo. Bossi non fa una piega. Avverte, anche a uso dei giornalisti presenti, che la Lega ora punta sulle borgate di Roma: «Cominciamo oggi a costruire quel gruppo che tra qualche anno rifonderà Roma». L'iniziativa non decollerà mai, ma in quel momento qualcuno già si vede assessore. Dai tavoli interrogano: «Senatore, guardi che Roma vuole rimanere capitale». «Tranquilli, nessun'altra città è in concorrenza. A Milano lo sanno che sono solo fastidi».(...) Prendersi la capitale non è semplice. Richiede tempo, astuzia, tenacia. In apparenza la si espugna subito. Ma è appunto soltanto apparenza. L'arte di sedurre le grandi famiglie romane, le quali sono a loro volta pesci pilota, anticipatori di tendenze, mi verrà spiegata in una mattina di sole del 1994, passeggiando per piazza Navona. Il mio Virgilio è il principe Domenico Orsini, grande aristocratico imparentato col potere di oggi, con Mediobanca, per capirci. (...) Il principe, che inizialmente si dichiarava leghista, ora, deluso da Bossi, si sta già spostando verso Berlusconi, disposto «a fare quel che posso per il Cavaliere». «Conquistare i romani è difficile, per uno che arriva dal Nord può anche essere impossibile.» Dove sono le difficoltà, principe? «Vede, a Roma nessuno del Nord ce l'ha mai veramente fatta. Benetton, lo stesso Umberto Agnelli, come politici non si sono mai ambientati. I romani sono convinti che tutto passa e loro restano, sono arroganti, magari, ma detestano l'arroganza degli altri. Bisogna essere semplici, ricordarsi che noi, principi, in fondo siamo rimasti come il marchese del Grillo, se lo ricorda Sordi? (...). Conoscerci, e conquistarci, è importante perché poi noi non stiamo chiusi nei palazzi, noi parliamo col pizzicarolo e col barista.» Fate opinione, insomma. «Sì. Per questo Berlusconi fa bene a venire da Ninì.» Ninì è la principessa Elvina Pallavicini e Berlusconi infatti andrà a renderle omaggio insieme con Gianfranco Fini, nel palazzo dove la nobildonna risiede ormai per la maggior parte del tempo, essendo costretta su una sedia a rotelle. La visita si terrà in marzo (1994), in piena campagna elettorale, ma qui la anticipo, anche perché quel mondo era stato preparato per tempo, sondato, coccolato. Berlusconi sa di essere visto da loro più o meno come un marziano, un lombardo che si è fatto da sé, è un vero e proprio concentrato di quanto un aristocratico romano detesta. Eppure, i suoi interessi (quelli di Berlusconi) e i loro (quelli dell'aristocrazia conservatrice) possono certo incontrarsi, se non proprio saldarsi. Facendolo astutamente precedere da un incontro pop con le casalinghe d'Italia, Berlusconi si assoggetta dunque al bacio della pantofola di donna Elvina. Il mattino di quel giorno di marzo, all'albergo Nazionale di fronte a Montecitorio, Berlusconi seduce pubblicamente le casalinghe, o meglio le dirigenti dell'associazione che intende rappresentarle, quella Federcasalinghe sostenitrice, fino a un mese prima, di Mario Segni. Dalle casalinghe alle principesse: la sera, alle 20, Elvina Medici del Vascello principessa Pallavicini, Ninì per gli intimi, apre le porte del suo rinascimentale palazzo ai candidati Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. Convocate, dunque, tutte le più antiche famiglie romane, i Torlonia, gli Odescalchi, ci saranno Enrico d'Assia e lo stesso Domenico Napoleone Orsini il cui padre, Filippo, osò presenziare alla più discussa riunione mai tenutasi in un palazzo patrizio, l'invito rivolto nel 1977 allo scismatico vescovo Marcel Lefebvre dalla medesima Pallavicini, del tutto indifferente alle perplessità suscitate negli altri aristocratici neri, fedeli, nonostante tutto, a papa Montini. (...) Ecco dunque che l'aristocrazia nera romana, sonnecchiante nelle ultime tornate elettorali, riprende posto sulla scena. Lo fa attraverso la sua più autorevole rappresentante, quella Elvina Pallavicini che, negli anni Cinquanta, riceveva De Gaulle e Adenauer e che, alla caduta del fascismo, fu sostenitrice della Resistenza, perseguitata, perciò, dalle Ss che, a Roma, avevano messo una taglia di dieci milioni sulla sua testa perché lei nascondeva a palazzo gli ufficiali italiani. La ricompensò, la Repubblica, con regolare medaglia di bronzo. Elvina Pallavicini divenne poi dichiarata estimatrice di Almirante. Per il Cavaliere sarà dunque serata di investitura ufficiale. In fin dei conti, non sono stati poi tanti i politici della Prima repubblica ufficialmente ammessi nei salotti dell'aristocrazia nera.

Dai blog