Archeologia, premi letterari, cinema: in discussione il vecchio impero
Peril bene non di una parte, ma dell'Italia». Mario Resca, il manager che da McDonald è passato al Collegio Romano, scelto dal miistro Bondi, nel suo studio ha messo una grande lavagna. Ci scrive continuamente le emergenze Bel Paese da scansare, le idee per rilanciarlo. «Da tre mesi mi occupo dei beni culturali - dice a Il Tempo - e una cosa ho chiara: che la contrapposizione tra valorizzazione e tutela non esiste. Non c'è valorizzazione senza tutela. E col Bel Paese ci si dovrebbe comportare come si fa con la propria casa: se si hanno cose di pregio, bisogna tenerle non bene, ma benissimo. Ci vuole una polizza assicurativa contro furto e incendio, la messa a norma degli impianti per garantire la sicurezza, l'ordine, la pulizia. Sa, l'argenteria bisogna lucidarla spesso. E tirarla fuori quando arrivano gli ospiti». Questo è il punto. Sì, questo. Condivido pienamente la preoccupazione di certi sacerdoti della cultura, preoccupati di come il patrimonio culturale è ridotto. Ma se poi guardo in quale stato si trova l'Italia, vedo che la tutela non c'è stata. Ecco allora il motivo del commissariamento di Pompei o dei Fori imperiali e di Ostia. Ci si scusa con la mancanza dei fondi. Però c'è anche stata l'incapacità del sistema, dei precedenti ministri della Cultura di stimolare il sistema affinché il degrado non avvenisse. Dovevano essere gli addetti alla cultura ad alzare la voce e la bandiera per l'allarme. Il degrado dei Fori non è questione degli ultimi sei mesi. Forse non hanno mai fatto una passeggiata al Colosseo. Io l'ho fatta. Quel monumento, simbolo di Roma e patrimonio dell'umanità, è ingabbiato da tubi Dalmine arrugginiti e vecchi di decenni. Le toilette non funzionano, è infestato da mercanti abusivi che trattano i turisti non come ospiti ma come polli da spennare. Mi ribello a questo. Ma non si è ribellato abbastanza il professor Settis, che invece si è rivoltato contro la sua nomina e il commissariamento dei Fori. Il professor Settis ha pure detto qualcosa. Io non so di chi siano le responsabilità ma per chi come me viene dall'impresa, fino a ieri è stato un utente e oggi è all'interno del sistema, è evidente la resopnsabilità dei politici». Si chiama in causa la burocrazia. Il continuo dissidio tra autorità comunali, regionali, statali porta alla paralisi. E poi si sconta l'incapacità di investire soldi nella manutenzione per la farraginosità della burocrazia. Non si è investito in modo concreto per tutelare il patrimonio al punto che ci sono 700 milioni di euro di residui passivi, soldi allocati per tutelare la cultura e non spesi dai vari sovrintendenti, da chi ne aveva la competenza e la responsabilità. Missing, inghiottiti. Il ministero sta cambiando molto. Forse troppo? Evviva lo scossone. Si cominciano ad abbattere i totem rimasti in piedi per anni, intoccabili. E l' idea collaterale che la cultura è solo di sinistra. La cultura non è né di destra, né di sinistra. È l'espressione della nostra civiltà, della nostra italianità, di come viviamo e di come ci comportiamo. Il ministro Bondi ha fatto l'analisi dei punti di forza e di debolezza della cultura italiana, di cui questo ministero ha la responsabilità. E sta lavorando sui punti di debolezza. Rompe i luoghi comuni, dice che il re è nudo. Dal teatro ai premi letterari. Il corollario qual è? Il nostro Paese ha la fortuna di avere il patrimonio più ricco e di maggior qualità del mondo e noi lo vogliamo valorizzare. Non vuol dire che abbiamo in testa di vendere il Colosseo. Valorizzare vuol dire tenere le cose al meglio possibile e condividerle con i popoli. Ho viaggiato in Spagna, in Inghilterra, in Germania, negli Stati Uniti rimanendo stupefatto dall'ammirazione e dal rispetto che ci mostrano. Vuol dire che l'identità dell'Italia è la cultura. Una recentissima ricerca fatta dalla Piccola e Media Industria - il 99 per cento del sistema economico italiano - ci dice che per ogni euro investito nella cultura ce ne sono quattro di ricchezza; per lo stesso euro negli Stati Uniti si ottiene sette volte di più. Noi abbiamo la leadership economica che può derivarci dal turismo culturale. E un potenziale di sviluppo che parte dalla catalogazione del nostro patrimonio, dalla cura, dalla tutela, dal miglioramento e dalla valorizzazione in senso lato. Perché genera indotto. E una carta competitiva che il mondo ci riconosce. A patto che ne siamo convinti. Non so se la nostra industria delle lavatrici, della scarpe potrà sopravvivere in un mondo sempre più globalizzato. Ma so che abbiamo la possibilità di essere competitivi nel campo del turismo culturale. Da che cosa si deve partire? Abbiamo una carta da giocare unica. È racchiusa in una parola: italianità. Un concetto composto da una serie di fattori come lo stile di vita, l'enogastronomia, il design e la cultura. Non ci siamo resi ancora conto di avere un potenziale inespresso e una leadership potenziale. Con il patrimonio che abbiamo siamo costretti a rincorrere il modello spagnolo Campi da golf e spiagge? Non è esatto. Il ministro della cultura spagnolo in un recente incontro mi ha confermato che l'elemento portante della loro politica turistica è la cultura. Basandosi su questo sono diventati i primi in Europa. Ma cosa manca complessivamente al sistema Italia per recuperare? La cultura dell'accoglienza in generale. Parto dalle prime operazioni da fare: pulire le città dalle brutture, graffiti compresi, renderle più belle valorizzando i giardini pubblici e aumentando la fruizione della bellezza. Ad esempio allungando gli orari di apertura dei musei e rendendo le visite un'autentica esperienza positiva. Forse le risorse scarse al comparto della cultura sono la causa delle inefficienze. Sono pronto a mettere sul piatto i soldi se i musei dimostrano di fare lo sforzo di considerare il visitatore un cliente da soddisfare. Finora non c'è stata motivazione al cambiamento perché il ministero ha dato rimborsi a piè di lista. È il momento di cambiare. Incentivando anche il privato cittadino a fare donazioni alla cultura. Tutto questo va fatto in fretta. Altrimenti? Semplice. Abbiamo scoperto, purtroppo, che se non diamo al turista un'esperienza positiva gliela offre qualcuno altro nel mondo. In Egitto, in Spagna e anche a Doha. Bastano gli interventi sull'organizzazione dei musei per far decollare il turismo? Sono solo una parte dell'azione complessiva da attuare per riposizionare il marchio Italia. Per farlo bisogna ripartire dai servizi. Che sono il vero elemento competitivo di un paese avanzato. E in questo campo siamo ancora indietro. Un esempio? Le regole del commercio. Il nostro sistema distributivo è polverizzato e dunque più costoso. Gli orari sono rigidi e soggetti a vincoli amministrativi e burocratici. Anche questo dà una percezione negativa non solo a chi in Italia vive ma anche a chi la visita. Serve una vera liberalizzazione. Ha conosciuto l'economia italiana come manager. La sua idea sulla crisi? Non sappiamo a che punto è la crisi. Ma avremo un'indea presto tra maggio e settembre quando le banche e le aziende avranno presentato i loro bilanci.