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Randagi, le leggi ci sono ma non vengono applicate

Cani randagi

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Una cosa è certa: la tragica fine, domenica pomeriggio nel Ragusano, del piccolo Giuseppe Brafa sbranato da un branco di cani randagi non è colpa degli animali tanto aggressivi quanto affamati e malridotti. Piuttosto di chi, nonostante l'esistenza nel nostro paese di normative ad hoc, non ha vigilato nè impedito che potesse accadere un evento del genere, inammissibile pure in un paese del terzo mondo. Siamo in emergenza e non solo in quello scampolo di Sicilia, dove ieri c'è stato un altro feroce agguato questa volta ai danni di una giovane turista tedesca, sfigurata in volto e nel corpo. I dati parlano chiaro. I cani randagi in Italia sono circa 600.000: di questi circa 149.500 sono ospitati in canili attrezzati, un quarto del totale. «Si tratta di cifre sottostimate - dice Ilaria Innocenti, responsabile del settore cani e gatti della Lav - i randagi in Italia sono circa un milione». Si calcola, poi che vi sono sei milioni di cani di proprietà. E che ogni anno ne vengono abbandonati intorno ai 45.000. Di fronte a questa emergenza c'è chi invoca una soppressione di massa di tutti i cani randagi. «Sarebbe un'insensata carneficina, illegale e pericolosa per la sicurezza pubblica - ribatte la Innocenti - l'emergenza c'è ma non riguarda, in egual misura tutte le regioni. Diciamo che dove le leggi vengono applicate, soprattutto al Nord, la situazione è decisamente sotto controllo. Le regioni più colpite sono nel Sud dove si concentra l'esercito dei randagi. Ci sono meno strutture e i cani vengono lasciati liberi sul territorio, anche per un fatto culturale. E questo accade nei piccoli paesi come anche nei centri urbani». Giacciono in Parlamento dieci proposte di legge per migliorare la Legge 281 del 1991 sulla prevenzione del randagismo. «Vanno ridefinite le competenze locali che vedono i Servizi Veterinari Asl in genere colpevolmente assenti» dice ancora la Innocenti. La Finanziaria 2008, inoltre, ha stabilito che i comuni, singoli o associati, devono provvedere ad attuare piani di controllo delle nascite attraverso la sterilizzazione. «A tali piani è destinata una quota non inferiore al 60 per cento delle risorse disponibili - spiega la Innocenti - Inoltre si deve pure provvedere al risanamento dei canili comunali esistenti e costruire nuovi rifugi laddove non esistono. Si tratta di operazioni aggiuntive a quelle analoghe predisposte da ogni Servizio veterinario Asl». Le leggi ci sono ma vengono disattese. «Ecco perchè la Lav chiede ai sindaci, ai presidenti di Regione, ai Prefetti, al Governo ordinanze che impongano d'urgenza la sterilizzazione obbligatoria di tutti i cani sul territorio nazionale e la moratoria delle vendite dei cani, in maniera da smaltire le cucciolate nei canili e contenere il fenomeno dell'abbandono che concorre ad aumentare il numero dei randagi». I sindaci campani, da parte loro, lamentano una scarsità dei mezzi. «Mancano i soldi per la benzina per le auto, figuriamoci per i cani» dice Ernesto Sica, sindaco di Pontecagnano, in provincia di Salerno. Nel suo comune il 6 maggio scorso una donna di 61 anni è stata sbranata dal suo pitbull. E vorrebbe gli stanziamenti per un canile municipale anche il sindaco di Montesarchio (Benevento) Antonio Izzo, visto che il suo comune spende «oltre 100.000 euro l'anno per mantenere i cani randagi accalappiati in una canile privato nel casertano». Insomma il randagismo si può prevenire. «Anche attraverso la lotta al traffico illegale di cuccioli dall'Est Europa, un business da 300.000 euro» dice l'esponente della Lav «Sono animali non curati, non vaccinati secondo la legge. Hanno reintrodotto, da noi, malattie che avevamo debellato come il cimurro, la parvovirosi addirittura casi di rabbia. Inoltre deve cambiare la mentalità: comprare, o regalare, un cane è un atto di responsabilità. Pessima l'idea di regalare cuccioli se poi manca l'impegno e la possibilità di accudirli».

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