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E il miglior amico dell'uomo si fece lupo

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C'è chi escogita gite fuori porta solo per lasciare ben lontano dall'uscio domestico quel vecchio amico che non vuole più così fedele. E infatti, fuori dai grandi centri abitati, il randagismo canino abbaia ancor più forte e incattivisce quanto più si inselvatichisce, al punto da contendere al lupo la fama del più pericoloso delle aree boschive. Spesso, anzi, i veterinari non riescono neanche a notare la differenza tra i diversi attacchi predatori, e si finiscono per attribuire magari ai lupi le responsabilità che sono invece dei cani, come capita sovente nei casi delle uccisioni di ovini, caprini e bovini.  Ma se succede il contrario, ossia se il "vizio" atavico del lupo viene addebitato al "pelo" canino, rischiano però di rimetterci gli allevatori, che al danno dei capi abbattuti aggiungono così la beffa di rimborsi minori o, addirittura, negati. «Ma, il più delle volte, i servizi veterinari, cui spetta l'ultima parola, attribuiscono gli assalti ai lupi - dice Maurizio Fontana, il direttore del Parco dei Monti Simbruini, l'area protetta più grande del Lazio - Poi, però, considerando che gli esemplari protetti censiti che si spostano lungo un'area di circa 400 chilometri quadrati sono poco più di una dozzina, si capisce che tutti quei danni, in costante aumento negli ultimi dieci anni, non possono essere riconducibili solo ai lupi. Ma è davvero difficile stabilire di chi è l'attacco predatorio: il nostro Parco, insieme alla Provincia di Roma, nel novembre scorso ha dedicato una due-giorni di studi proprio sulla presenza del lupo e la differenza con i cani randagi, avviando un monitoraggio sul territorio. Ma ci vorrebbero più corsi di formazione per veterinari, oltre che pascoli più controllati e micro-cheap per i cani che hanno un proprietario». Nei 30 mila ettari dei Monti Simbruini, che confinano col Parco Nazionale d'Abruzzo, i ricercatori annotano che la «notevole espansione del fenomeno del randagismo e del conseguente inselvatichimento dei cani» ha portato i lupi a instaurare «una competizione a livello spaziale e alimentare e con cui è possibile l'ibridazione». E dall'area dipartimentale di sanità pubblica veterinaria dell'Asl Roma G confermano che, se in tutto l'Appennino sta aumentando la presenza del lupo, non da meno è l'incremento del randagismo. Ed è sempre più difficile distinguere. «Dall'esame del solo animale predato e delle tracce che porta su di sé non sempre è possibile capire se il predatore che lo ha assalito sia lupo o cane, perché entrambi hanno le stesse modalità di assalto, e, essenzialmente, entrambi hanno un apparato masticatorio uguale per cui la traccia del morso è identica - spiega uno dei coordinatori , Giovanni Pierattini - è evidente, quindi, come sia necessario conoscere la situazione faunistica del territorio».

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