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Caffarella, giallo sul Dna

La polizia nel parco della Caffarella, sul luogo dove è stata stuprata la 15enne romana

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Con gli investigatori della Squadra mobile, la ragazzina di 14 anni e il ragazzo di 16 ripercorreranno il sentiero seguito coi loro aguzzini fino al punto in cui lei ha subito la violenza e lui è stato costretto a guardare. Da ieri sono a disposizione degli esperti della polizia scientifica le impronte genetiche di sette persone, su venti sospettate, legate al romeno Jon Feraru, 25 anni, detenuto nel carcere di Bucarest, ritenuto vicino al «biondino»: il ragionamento è che cercando tra i membri del sodalizio di Loyos e Feraru si arrivi ai responsabili materiali della violenza. Tra le persone che la polizia vorrebbe passare al microscopio resta Ciprian Chioski, il romeno «faccia da pugile», senza dita a una mano (perse a causa dell'esplosione di un petardo) indicato per primo dal ragazzo di 16 anni: l'identikit mostrava un tipo dai capelli neri, lunghi, raccolti in una coda. La menomazione, anche se evidente, non veniva raffigurata. Poi si è trasformato in Karol Racz: basso, stempiato. Scagionato dalla prova del Dna. Troppe cose non sono tornate in questa inchiesta. Per cui la Questura vuole evitare che il mancato incastro tra gli elementi del puzzle che si sta ricostruendo provochi un altro crollo delle accuse. Gli investigatori sono convinti che il «biondino» Alexandru Iszoitka Loyos, 19 anni, quella sciagurata sera sia stato nel parco della Caffarella e se non ha partecipato alla violenza sicuramente ha assistito. La determinazione discende dalla lettura della confessione resa dal romeno il 18 febbraio in Questura e dal fatto che la ragazza non esitò a riconoscerlo, indicandolo con certezza alla settima foto di una serie di otto pregiudicati romeni fotosegnalati. Loyos ha detto di aver visto i due fidanzatini dietro un albero, tra la vegetazione. Circostanza che all'inizio le vittime non dissero, affermando che loro erano seduti su una panchina e poi sono stati costretti a seguire i due. Versione che i fidanzatini cambiarono confermando quella di Loyos quando a riferire come andarono le cose furono gli investigatori. Poi ci sono gli abiti che indossava la ragazzina: prima jeans, poi la gonna. Insomma, ecco perché «il biondino» ha riferito dettagli che sono presenti nel secondo verbale dei fidanzatini e non nel primo. Ed ecco perché il suo atteggiamento tranquillo nella videoconfessione girata in Questura. Ieri la divulgazione di quel filmato ha sollevato critiche governative. Il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, non esita: «È sbagliata la spettacolarizzazione di queste vicende. La persona umana, anche se criminale, merita rispetto e dunque farò una verifica su quanto accaduto. Non è giusto mostrare questi documenti in tv solo per soddisfare la sete di voyeurismo di qualche cittadino». Interviene pure il guardasigilli Alfano: «Fa parte delle cose che non dovrebbero accadere. Valuteremo con gli uffici». L'ultimo commento è del presidente dell'Associazione nazionale magistrati Luca Palamara: «I processi si facciano nelle aule di giustizia».

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