Voto con l'impronta in Parlamento, la maggioranza ora va in affanno
{{IMG_SX}} Il primo ad avere qualcosa da ridire è Donato Lamorte, lo storico capo della segreteria di Fini. Alla prima votazione della mattina, poco dopo le dieci, segnala qualcosa che non va, non è il solo, il presidente della Camera lo guarda: «Onorevoli colleghi, cosa c'è? Onorevole Lamorte, cosa accade?». Ma subito dopo dichiara chiusa la votazione, sono in sette a dichiarare allo scranno più alto che non sono riusciti ad esprimere il loro parere. E dopo qualche attimo è la volta di Chiara Moroni (Pdl) a spiegare che non ha potuto votare, ma anche il rotondiano Franco De Luca spiega che la sua postazione non si è attivata. Fini è tranquillo: «Ora le facciamo verificare». Quindi comincia a spazientirsi quando un altro dei suoi protesta perché con nuovo sistema non riesce a votare. Si tratta di Pietro Laffranco, figlio di Luciano l'ideatore del «partito degli italiani, il primo embrione di An. Il presidente della Camera conosce il giovane Pietro da quando è nato e lo sculaccia, seppur verbalmente: «Onorevole Laffranco, ha visto che il terminale funziona? Onorevole Laffranco, se lei rispetta le procedure, come ha visto, il terminale funziona. Se cerca di innovare su procedure che sono state ampiamente sperimentate... non vedo cosa vi sia da ridere, se me lo consente. La prego di avere un contegno più rispettoso del ruolo del Parlamento e anche del ruolo che lei è chiamato ad adempiere». Si passa ai voti e altri quattro deputati dichiarano che per loro non è possibile esprimersi. Che il debutto del nuovo meccanismo con le impronte avrebbe creato qualche difficoltà s'era capito già alla prova. Ma ieri l'aula della Camera sembrava un'aula di scuola. A ogni votazione, urla e proteste. Anche perché, soprattutto nella maggioranza, sono in tanti che hanno partecipato raramente al voto, anche con il vecchio sistema, facendosi sostituire dai «pianisti»: ora non è più possibile, la pacchia è finita. Poi ci sono quelli che ancora non hanno capito le procedure, hanno scarsa dimestichezza con un minimo di tecnologia e fanno grande confusione. Ma a metà mattinata, quando a protestare per problemi nel voto è nientemeno che Denis Verdini, uno degli uomini più vicini al Cavaliere, sono in tanti, vicini a Fini, a immaginare che sotto gli inciampi ci sia qualcosa di politico. Il clima si fa più caldo. Ogni volta che cominciano le operazioni di riconoscimento delle impronte, i commessi sono costretti a correre tra i banchi richiamati dai deputati. Il capogruppo leghista Roberto Cota prende la parola e chiede la sospensione del voto. Si riprende a mezzogiorno. Stavolta a prendere la parola è il capogruppo del Pdl, Cicchitto, e le sue sono parole che accendono gli animi: «Queste votazioni non hanno una loro organica e completa regolarità. Infatti, dall'analisi che abbiamo fatto per queste tre votazioni all'interno del nostro gruppo alcune persone presenti che hanno votato - faccio anche i nomi: Nirenstein, Calderisi, Verdini, Moroni, Pili e Laffranco - ma non risultano votanti. Questo apre un problema che attiene alla regolarità del voto». Il Pd insorge. Prende la parola il capogruppo Soro che si vanta: «Sarebbe utile una verifica puntuale della nuova tecnica, soprattutto nella parte destra dell'emiciclo, perché da questa parte non si sono verificate difficoltà e non abbiamo una particolare manualità ed attitudine all'esercizio di questa nuova forma di voto». Quello dell'Idv, Massimo Donadi sfotte: «Si potrà pensare di fare dei corsi di sostegno per i colleghi della maggioranza che hanno ancora difficoltà ad apprendere il metodo». Non ci sta il tremontiano Marco Milanese: «Se ci riesci tu ci riusciamo tutti...». Il Pdl non ci sta, tocca a Italo Bocchino: «La nostra preoccupazione era - e purtroppo rimane - che l'opposizione voglia utilizzare il nuovo sistema di voto quale ulteriore elemento di filibustering», ovvero ostruzionismo. La situazione trascende. I dipietristi chiedono di andare avanti, il Pdl attacca, Furio Colombo chiama in ballo la Corea del Nord. Fini non ne può più e batte i pugni sul tavolo per riportare un po' di calma: «Non si tratta quindi di una personale decisione del Presidente e, men che meno, di una personale ostinazione del Presidente pro tempore della Camera; è una decisione assunta all'unanimità dall'Ufficio di Presidenza che, ripeto, si è resa necessaria in ragione del malcostume più volte denunciato da tutti gli esponenti politici di quest'Aula, malcostume relativo alla consuetudine di alcuni parlamentari di votare per gli assenti». Avverte: «Era un malcostume che andava stroncato». E sottolinea che «non può esservi alcun ritorno a decisioni precedenti, perché quello che è stato deciso deve continuare ad essere osservato». Insomma, mettetevi l'anima in pace che indietro non si torna. All'una tocca presiedere a Buttiglione. Protesta un altro finiano, Malgieri, alle prese con il nuovo sistema. Poi parole in libertà. Mazzarella (Pd) chiede di cambiare il sistema, Brigandì (Lega) la butta a ridere: «È palese che le classi differenziate sono necessarie per l'intera Aula». Ma la palma d'oro per la battuta migliore spetta a Straquadanio: «Signor Presidente, ho innanzitutto chiesto la parola per consentire alla mia collega di potersi recare al bagno e non essere quindi assente al momento delle votazioni». La bionda Mariarosaria Rossi rientra di corsa e il collega smette di parlare.