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Salva la facoltà per questi ultimi di votare contro o di astenersi, e che all'assemblea spetti solo il voto finale sulle leggi.

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Puntualicome le cartelle delle tasse, sono piovute a catinelle le critiche dei soliti benpensanti. Così Anna Finocchiaro e Antonello Soro, capigruppo parlamentari del Pd, hanno stigmatizzato l'assenza di cultura costituzionale del Cavaliere, il suo incontenibile fastidio per le regole della democrazia, la sua inossidabile visione proprietaria delle istituzioni. E Casini, per non essere da meno, ha tuonato che per l'inquilino di Palazzo Chigi il Parlamento è solo un impiccio. Manco a dirlo, è seguito il coro dei soliti commentatori con il torcicollo a sinistra. Sulla cartacea «Repubblica» Edmondo Berselli si è stracciato le vesti per un Parlamento di anime morte. Ma il meglio del peggio, noblesse oblige, lo hanno dato i cattedratici di diritto costituzionale. Sul «Manifesto» Gianni Ferrara ha sostenuto che neppure Mussolini era arrivato a tanto. Su «l'Unità» Tania Groppi ha definito surreale la proposta. E su «La Stampa» l'articolo di fondo di Michele Ainis, dal titolo «Fannulloni per decreto», così ha esordito: «Se la fantasia costituisce la prima qualità degli uomini politici, il nostro presidente del Consiglio ne ha da vendere». Mussolini, proposta surreale, fantasia sfrenata. Abbiamo il sospetto che a queste parole Berlusconi si sia fatto delle matte risate. Già perché, conoscendo il tipo, secondo noi il Cavaliere ha voluto corbellare i suoi ipercritici in servizio permanente effettivo. Si dà infatti il caso che questa proposta non è farina del suo sacco. No, concetto e parole sono ripresi pari pari da Hans Kelsen. Cioè da un campione di democrazia onorato come un santone dalle sinistre dagli anni Venti del secolo scorso. Orbene, che cosa scrive Kelsen? Afferma che se ci si risolvesse «a lasciare ai partiti così organizzati la scelta dei deputati ad essi spettanti in ragione della loro forza numerica.. ci si potrebbe, anzi, accostare all'idea di non costringere i partiti a mandare in parlamento un certo numero, proporzionale alla rispettiva forza, di deputati individualmente determinati, che — sempre gli stessi — partecipino alla decisione di ogni più disparata questione, ma di lasciare ad essi la possibilità di delegare, a seconda delle esigenze connesse con la discussione e la deliberazione delle varie leggi, degli esperti scelti nel proprio seno, i quali partecipino di volta in volta alla decisione col numero di voti spettanti al partito». E a proposito delle commissioni parlamentari, «nelle quali si compie il vero lavoro deliberativo, avrebbero già ridotto il plenum ad un apparato di votazione puramente formale» (Hans Kelsen, Il primato del Parlamento, Giuffrè 1982, p.183 s.). Per ragioni squisitamente giuridiche, come ha ben detto il presidente della Camera Gianfranco Fini, la proposta di Berlusconi cadrà nel vuoto. Ma se non altro il Cavaliere si è preso la soddisfazione di aver messo una volta di più alla berlina i suoi detrattori per partito preso. Che escono di scena con le ossa rotte.

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