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La Rai diventa il banco di prova di Franceschini

Dario Franceschini

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{{IMG_SX}} Il no di Berlusconi a Petruccioli, formulato con rispetto e nettezza, riconsegna il cerino acceso nelle mani di Franceschini. Così come per la presidenza della Vigilanza, la partita si gioca tutta all'interno del Pd con il Pdl che ha buon gioco a attizzare tutte le polemiche interne in casa avversaria. Nel Pd si scontrano molte linee, ma la principale divaricazione è fra gli «svoltisti» e i «continuisti». Gli «svoltisti» vogliono un nome nuovo, i «continuisti» avrebbero voluto una battaglia di principio sulla riconferma dell'attuale presidente. La Rai ancora una volta può favorire o logorare carriere politiche. Persino il collaudato Veltroni sulla Rai aveva conosciuto la sua peggiore battuta d'arresto con la elezione di Villari e il successivo accordo, in zona Cesarini, sulla presidenza Zavoli. Ma è sul nome del presidente dell'azienda che Veltroni si era infilato in un cul de sac. È noto a tutti che il dimissionario segretario del Pd era stato costretto dalle divisioni persino nella sua corrente a rinunciare all'accordo sottoscritto da Goffredo Bettini e Gianni Letta sul nome di Pietro Calabrese, ex-direttore de «Il Messaggero», di «Panorama» e della «Gazzetta dello Sport». Dopo la debacle veltroniana Dario Franceschini ha tentato la carta vincente puntando tutta la posta su Ferruccio de Bortoli. Forse il direttore de «Il Sole24ore» ha sottovalutato il danno di immagine che ha provocato, con la sua rinuncia, al neo-segretario del Partito Democratico. Ora lo scontro fra «svoltisti» e «continuisti» prende nuovo vigore in attesa dell'assemblea dei soci Rai che è stata rinviata al prossimo mercoledì 18 marzo. Franceschini si iscrive fra gli «svoltisti» in linea con la richiesta di Berlusconi di un nome nuovo per l'azienda pubblica. I «continuisti» sono da un lato tentati di avviare un nuovo braccio di ferro sul nome di Petruccioli, dall'altro pensano ad una figura di garanzia, alla Zavoli per intenderci. La guerra interna al Pd sulla Rai investe un po' tutte le componenti del partito di opposizione. Nella rosa di nomi figurano professionisti della tv e della carta stampata, nonché eminenti giuristi, che possono segnalare la prevalenza di una corrente sull'altra non solo nel difficile rapporto fra ex Ds ed ex Popolari (è noto ad esempio che Franceschini ha una predilezione per il direttore di Raitre Paolo Ruffini), ma anche all'interno della componente ex Ds che ha mal sopportato il colpo finale di Veltroni con la nomina nel Consiglio di amministrazione della Rai del suo amico scrittore Giorgio Van Straten. La partita Rai assume anche un significato più generale. La legge prevede l'accordo fra maggioranza e minoranza su un nome che garantisca la minoranza. Fin dove Franceschini può spingersi nell'accordo con l'altra parte senza far venire meno la linea dello scontro frontale che ha inaugurato fin dalle prime settimane della sua segreteria? La ragione lo spingerebbe ad un accordo rapido con Berlusconi per il tramite di Gianni Letta, il cuore gli chiede di fare la faccia feroce. Ancora una volta la Rai si mostra come la cartina di tornasole di più complicati giochi politici.

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