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Caffarella, dalle manette al fallimento del "detective in provetta"

Controlli di polizia al parco della Caffarella

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{{IMG_SX}} Procura e polizia si mettono al lavoro per disegnare un identikit degli aggressori. Il 18 febbraio, riconosciuto dalla ragazzina da una foto, viene fermato il romeno 21enne Alexandru Loyos Isztoika con l'accusa di violenza sessuale di gruppo e rapina. Tempo poche ore e, grazie alla confessione resa da Isztoika in Questura alla presenza del pm Vincenzo Barba, viene bloccato a Livorno anche Karol Racz, 36 anni. Il pm chiede al giudice di convalidare i fermi e di emettere un'ordinanza di custodia cautelare in carcere. Il gip Valerio Savio recepisce l'impostazione della procura anche se Loyos ritratta la confessione sostenendo di essere stato picchiato dalla polizia romena che ha collaborato alle indagini con quella italiana. Racz, dal canto suo, indica i nomi di coloro che possono confermare che il 14 febbraio si trovasse ben lontano dalla Caffarella. Il colpo di scena è di pochi giorni dopo quando si apprende che, dagli esami di laboratorio effettuati dalla Scientifica, il Dna rilevato da tamponi, mozziconi di sigarette e fazzolettini non corrisponde a quello dei due indagati. Insomma, i violentatori sono altri. A quel punto le indagini riprendono vigore: viene risentito il fidanzatino della 14enne stuprata, vengono ascoltati altri romeni. Le indagini si spostano anche in Romania. Anche dalla genetista dell'Università «La Sapienza», Carla Vecchiotti, giunge alla conferma che il Dna non appartiene agli indagati. Nel frattempo, per uno stupro avvenuto il 21 gennaio al Quartaccio ai danni di una 41enne, Racz viene raggiunto in carcere da una nuova ordinanza di custodia cautelare. Due giorni fa davanti al Tribunale del Riesame cui si sono rivolti i difensori degli indagati per chiederne la scarcerazione, la procura deposita una carta a sorpresa: la testimonianza di un medico che il giorno di San Valentino, poco prima dello stupro della ragazzina, avrebbe visto due romeni (riconosciuti in Loyos e Racz) nel parco della Caffarella dove era andato per fare jogging. Anche per questo motivo, il pm insiste con la misura del carcere, perché «gli esami biologici, benché favorevoli agli indagati, non sono definitivi». Contro i due romeni, c'erano, dunque, il riconoscimento della ragazzina, la testimonianza del medico e la confessione di Loyos che ha rivelato dettagli che potevano essere riferiti solo da chi era presente alla violenza sessuale. La conclusione del pm è netta: «I due indagati erano al parco. Se non sono stati loro, hanno assistito o fatto da palo a chi ha stuprato».

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