Vogliamo votare per contare
Già oggi i sondaggi indicano che gli italiani stimano poca il ceto politico, indipendentemente dal colore. Il 6 giugno si voterà alle europee per eleggere i 78 parlamentari che rappresenteranno l'Italia a Strasburgo. Già si preannunciano candidature di parlamentari nazionali, ministri e amministratori locali che non potranno mai mettere piede nell'europarlamento perché le loro cariche sono incompatibili con il seggio europeo. Accadrà così che voterete per Berlusconi o per Veltroni, per Casini o per Bonino, ma che incassata l'elezione, i vostri beniamini resteranno a Roma e, al loro posto, andranno a Strasburgo Natascia Azzurri o Wladimiro Rossi, Immacolata Bianchini o Marcuccio Ignoti. È già accaduto in passato con l'effetto di consolidare la nostra cattiva fama: nell'ultimo europarlamento eletto cinque anni fa, su 78 eletti italiani oltre la metà, 37, si sono dimessi. Non è la sola anomalia. Alle elezioni politiche del 2008 i mille parlamentari non sono stati scelti dagli elettori, bensì dai capipartito. In sostanza le liste elettorali bloccate delle cinque forze che hanno conquistato seggi a Montecitorio e Palazzo Madama (Partito della Libertà, Partito Democratico, Lega nord, Italia dei valori, Unione democratico cristiana). Nell'insieme sono state compilate da non più di una decina o, al massimo, da una ventina di massimi responsabili. Per i quali, ovviamente, gli eletti non possono che provare riconoscenza e, più spesso, soggezione. Nella stessa o in un'altra domenica di giugno si voterà anche per il referendum sulla legge elettorale. Voi direte: finalmente possiamo votare per migliorare le cose. Non è così. Anzi, avverrà il contrario. I promotori sostengono maldestramente che il referendum dà più potere ai cittadini e meno ai partiti. È falso. Nel sistema eventualmente risultante dal referendum, il premio di maggioranza verrebbe attribuito non alla coalizione delle liste collegate (come oggi) ma alla lista unica che ottiene il maggior numero dei voti. Così anche un partito che consegue solo il 30-35% dei voti otterrebbe la maggioranza assoluta degli eletti prescelti dalla sua lista prefissata. Con il risultato che una sola persona, o un solo gruppo di capipartito, designerebbe la maggioranza assoluta dei parlamentari. La fascistissima legge Acerbo del 1924, al confronto, era democraticissima. Questa l'amara realtà. Quandi è che i nostri governanti, del centrodestra come del centrosinistra, comprenderanno che tali i sistemi, se consolidano le loro posizioni autoreferenziali, rischiano di far retrocedere l'Italia tra le democrazie di serie B, se non addirittura di serie C?