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Veltroni era meglio di questo "provocatore professionale"

Dario Franceschini e Walter Veltroni

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Eppure, Veltroni proveniva dalla scuola del Pci, che certo in quanto a demagogia, caccia al nemico del popolo e slogan velleitari non si fece mancare niente. Tuttavia, Walter s'è sempre dimostrato, pur con qualche ricaduta nell'antiberlusconismo di maniera, ben cosciente che i gravi problemi della Nazione investita dalla crisi planetaria imponessero ragionamenti e proposte serie, non parole in libertà, meno che mai fonemi da vecchio agit-prop. Ora, al suo posto c'è Dario Franceschini, il quale, a riprova che il peggio non è mai morto, pur scaturendo dalla tradizione del realismo democristiano, sta interpretando ogni giorno di più la parte dell'arruffapopolo e del provocatore professionale. Insomma, vuole presentarsi come il passionario rosso che più rosso non si può. Visto che nell'arco di pochi giorni ha sfornato una gran serie scomposta ed improbabile di panacee anticrisi, è lecito interrogarsi sul suo modo di connettere mente e fonazione, perché è sempre più forte il dubbio che la sua parola anticipi di molto il pensiero. Rappresenta, perciò, un'amarissima sorpresa l'attuale versione irriflessiva, estremista, irresponsabile e dipietresca di un giovane cattolico emiliano cresciuto sulle pagine di Jacques Maritain, non certo dei tupamaros, i tristi antenati di Chavez. Suvvia, viene dalla Dc, sia pure di sinistra, e da giornali titolati eloquentemente «Il Confronto» e «La Discussione», come a dire prima di tutto bisogna ragionare, soppesare, dialogare. Un segnale, tuttavia, c'era già stato, quando tre lustri addietro si candidò a sindaco di Ferrara, accettando di buon grado il sostegno di Verdi, cattocomunisti ed altri apocalittici. Parve una sbandata occasionale, tant'è che nel 2001 fu tra i padri costituenti della moderata «Margherita», mentre il 14 ottobre 2007, eletto vicesegretario del Pd, risulta che sposasse in pieno la linea veltroniana fondata sulla politica delle cose, non dei proclami e delle demonizzazioni. E non dell'antiberlusconismo ossessivo e maniacale. Quando il 21 febbraio scorso ha sostituito Veltroni alla guida del partito, gli si deve essere scatenato qualcosa dentro, un furore intollerante ed anacronistico, a metà strada tra la verbosità aggressiva di un Savonarola e il velleitarismo sfrenato di Beppe Grillo. Si dirà: primum vivere, deinde philosophari, cioè a dire che Franceschini sente nervosamente l'imperativo di dover salvare il partito - o soltanto la sua nomenklatura? -, tenendolo a galla, gridando a squarciagola favole e progetti onirici. Alzando i toni, pensa di vendere come buone proposte senza senso e, intanto, illudendo ed illudendosi, suppone di far passare la nottata al Pd. Purtroppo, non si rende conto che, così estremizzando, finirà per dare il colpo di grazia alla creatura di Veltroni, nata con un profilo ben più serio e credibile. Aridatece Veltroni. *Deputato del Pdl

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