Il Partito democratico fuori dalla realtà
Oggi serve un nuovo patto per la crescita della produttività totale dei fattori. Punto e basta. Nessun altro riferimento ad una situazione che, già allora, sembrava essere piuttosto grave. Al punto che Silvio Berlusconi non perdeva occasione per ripetere che i prossimi mesi sarebbero stati terribili e che occorreva prepararsi al peggio. Walter Veltroni e i suoi no, loro avevano in tasca la ricetta per risolvere tutti i problemi. E la spiegavano in quelle poche pagine di programma, ma anche nelle occasioni pubbliche promettendo soldi a pioggia per pensioni e salari. «L'imperativo è crescere, crescere, crescere - assicurava il leader dei Democratici -. La precarietà è la mia vera priorità». Altro che crisi. In fondo, spiegava il candidato premier del Pd il 31 marzo, a pochi giorni dal voto, «chi ha responsabilità pubbliche ha il dovere di essere ottimista e trasmettere fiducia per uscire da questa situazione. La crisi internazionale c'è, ma l'elemento di ottimismo è la vitalità dell'Italia». Chissà se il Pd ricorda, oggi che accusa il premier di sottovalutare la crisi, quelle parole. Di certo Veltroni era in buona compagnia ma, soprattutto, la sua era la logica conclusione di un percorso iniziato quasi un anno prima. Con Romano Prodi. È lui l'ottimista per eccellenza. Basta riprendere alcune delle dichiarazioni fatte dall'allora presidente del Consiglio per commentare il terremoto dei mutui subprime, prima avvisaglia di ciò che sarebbe arrivato. «Ho temuto per i mercati - spiegava in un'intervista a Repubblica il 19 agosto 2007 - ma il peggio sembra passato. La tempesta è stata fermata, ma ora dobbiamo riflettere tutti. L'Italia deve sapere che da oggi è più robusta e può affrontare l'autunno senza patire. Anche grazie all'euro». «Il nostro sistema ha dei freni e delle garanzie più seri di altri sistemi. Sono vigile ma non preoccupato» assicurava l'11 settembre. E ancora a dicembre: «Non credo ci sarà un'ondata a catena che porti alla crisi anche perché per la crescita ci sono nel mondo nuovi protagonisti nei Paesi asiatici che porteranno ad un bilanciamento». Ma il Professore dà il meglio di sé il 2 maggio 2008 quando, ricordando la sua esperienza di governo, si autocelebra così: «Abbiamo salvato un Paese che era lo zimbello della Ue da una grave crisi economica. In 20 mesi di governo ci siamo assunti il compito di governare l'Italia in una situazione d'emergenza». Eppure, già a febbraio, l'Istat aveva messo in luce una flessione della produzione industriale. Mentre le previsioni sul Pil non lasciavano ben sperare (il secondo trimestre si chiuderà con un -0,3% e l'incubo recessione). Nel Pd tutto questo viene vissuto con un ottimismo quasi irreale. E anche l'ex segretario Ds Piero Fassino, il 14 marzo 2008, elogia l'operato dell'esecutivo di centrosinistra: «Tutte le cifre dimostrano che i 20 mesi del governo Prodi sono stati molto utili per il Paese. Senza il risanamento dei conti pubblici che è stato fatto, l'Italia sarebbe molto più a rischio di quanto oggi non sia a causa della recessione economica internazionale». Guai poi ad evocare lo spettro della crisi del '29 (paragone spesso usato da Giulio Tremonti), Pierluigi Bersani non ha dubbi e, intervistato da La Stampa il 17 marzo, avverte: «Anche tecnicamente il paragone è del tutto improprio. L'importante è che i nostri conti siano in equilibrio, e aprire il più possibile le economie per cogliere i refoli di crescita che nel mondo spirano. Gli occhiali del '29 sono vecchi, bisogna toglierseli». Veltroni, nel frattempo, si diverte a spiegare a tutti che la colpa è della fallimentare amministrazione americana guidata George W. Bush o, in alternativa, dei cinque anni di governo Berlusconi che, dal 2001 al 2006, non ha aumentato i salari. Poco male di lì a poco tutto sarebbe cambiato perché, con il Pd al governo, il Paese avrebbe ricominciato a correre, le tasse sarebbero state tagliate e gli italiani sarebbero diventati più ricchi. Oggi il Pd non è al governo. La crisi ha colpito tutti, indistintamente. Molti governi sono stati costretti ad interventi straordinari per salvare colossi finanziari dal fallimento. Oggi alla guida dei Democratici c'è Dario Franceschini che accusa: «Berlusconi, chiuso nel suo bunker dorato, non vede più quello che succede nel Paese, tra la gente normale». Per fortuna che se ne sono accorti loro. In largo anticipo.