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"Banche da ricapitalizzare subito"

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In altre parole, sì ai Tremonti bond, senza perdere tempo, e no alle nazionalizzazioni» Da sole le banche non ce la fanno? «Il mercato è poco disposto a ricapitalizzarle per l'incertezza generale. Non resta che l'aiuto pubblico. E subito. Si è già perso troppo tempo. I soldi sono necessari per stabilizzare il sistema e per non tagliare i crediti alle imprese. Più rapidamente si fa la ricapitalizzazione meglio è». Altrimenti? «Aspettare non aiuta perché nel frattempo la recessione sta avanzando e il timore è che aumentino le sofferenze nei bilanci bancari. L'aumento del capitale è l'assicurazione migliore contro l'impatto della crisi nell'economia reale». A che punto è la crisi? «La previsione è difficile. La frenata della produzione registrata nel 4° trimestre è stata forte anche per il crollo dei paesi emergenti. Aspettiamo il responso del primo trimestre per capire l'evoluzione. I dati negativi emersi finora si riferiscono ai mesi passati, ma ci aspettiamo ancora brutte notizie sul fronte dell'occupazione». Nel mezzo della crisi Bce ha iniettato molta liquidità. È stato sufficiente? «In quel momento era lo strumento più rapido da utilizzare. Abbiamo tamponato una crisi sistemica. Oggi resta il problema della mancanza di fiducia nel sistema finanziario. Le banche non riescono a reperire risorse sul mercato a medio e lungo termine. Questo non contribuisce alla stabilità». Che è minata dai titoli tossici presenti nei bilanci. Basterà la bad bank? «Una sola bad bank può funzionare se l'intero sistema bancario di un paese è in fallimento, come è già accaduto in Svezia. In quel caso l'istituto, creato con fondi pubblici, può comprare titoli tossici da tutti gli istituti finanziari e aspettare che vadano a scadenza. Diverso è se solo alcune banche hanno problemi. In quel caso un unica bad bank può creare effetti distorsivi penalizzando le banche più prudenti e sane». Come se ne esce in quel caso? «Ogni istituto finanziario che ha problemi deve creare una sua bad bank in casa. Costituire un'apposita società veicolo in cui mettere i titoli tossici e congelare così gli effetti sulla sua gestione». Quali sfide ha Bce nel 2009? «L'obiettivo di mantenere stabile l'inflazione su un livello inferiore al 2% rimane valido. Consente di ancorare le aspettative e di evitare un peggioramento della situazione. Con la crisi, poi, si è aperto il problema di una vigilanza sistemica che in prospettiva dovrebbe essere portata al livello della Banca Centrale Europea». La finanza anglo-americana con la crisi ha perso la sua centralità? «Sta nascendo una nuova esigenza: contemperare la concorrenza che è stata alla base del suo sviluppo con una maggiore regolamentazione internazionale. Uno degli insegnamenti che ci lascia questa crisi è che nessuna istituzione finanziaria può essere lasciata fuori da regole e dai controlli, come è stato il caso finora in particolare negli Stati Uniti. Non basta un maggiore livello di trasparenza ma sono necessari vincoli regolamentari per tutte le istituzioni finanziarie che hanno un'importanza sistemica». I Paesi riusciranno a decidere? «Il G7 e il G20 sono al lavoro ma non è chiaro se ci sia consenso a favore di una regolamentazione che copra tutte le istituzioni. C'è forse chi teme che questo possa ridurre la concorrenza e l'innovazione e penalizzare i propri centri finanziari. Ma senza un allargamento del perimetro della regolamentazione, non si risolve il problema». Le imprese chiedono di sospendere l'accordo di Basilea 2. Che ne pensa? «Sospenderlo ora, nel mezzo della crisi, creerebbe ancora più rischio. Torneremmo a Basilea uno che è più penalizzante. E lasceremmo discrezionalità nella fissazione del rapporto tra attivo e capitale. Si rischierebbe di stilare i bilanci bancari senza parametri e si introdurrebbero nuovi elementi di incertezza. Che in questa fase non servono». E i problemi delle imprese? «Si risolvono accelerando la capitalizzazione delle banche il più velocemente possibile. La banche per ora continuano a prestare denaro ma sono più selettive e tendono a tenersi stretti i clienti migliori. Non c'è per ora un credit crunch ma se il capitale bancario si riduce, si rischia una riduzione generalizzata del credito». Sono sufficienti gli aiuti che i governi nazionali hanno stanziato per i settori in affanno? «Gli aiuti alle imprese sono sempre distorsivi, soprattutto nel lungo termine. E non sono mai stati miracolosi. Se ci sono risorse è meglio che siano destinate a sostenere i redditi di chi perde il posto del lavoro. Oggi abbiamo una separazione netta tra chi, da un lato, ha un posto fisso e grazie alla discesa dell'inflazione beneficia di un aumento di reddito reale e si trova in una condizione migliore rispetto a sei mesi fa mentre, dall'altro lato, chi perde il proprio posto rischia di perdere tutto. La paura di perdere il lavoro fa aumentare il risparmio. Si deve intervenire su questa fascia della popolazione». I piani dei governi minano il fondamento del mercato interno? «Il rischio c'è perché la tentazione è grande. Ma Bruxelles è attenta a che le azioni siano coordinate e che i rimedi rispettino le norme. Mi sembra che gli anticorpi contro questo pericolo per ora funzionino. Ma bisogna essere vigili». C'è una ricetta per uscire dalla crisi? «Nuove regole globali, un sistema di cambio governato da maggiore flessibilità e politiche economiche più disciplinate. È quello che chiede il Fmi da tempo. L'obiettivo è rimettere in ordine gli squilibri mondiali. Qualcosa si muove. I cinesi hanno capito che un modello sbilanciato sull'export li rende deboli e stanno ripensando al rilancio della domanda interna. Gli Usa sono al lavoro per capire come riassorbire il debito pubblico nel tempo e così risparmiare di più. Una cosa è certa. Le politiche messe in atto oggi produrranno un equilibrio diverso rispetto alla situazione di prima della crisi». Obama negli Usa ha speso 787 miliardi di dollari e la Borsa è andata giù. Cosa non funziona? «Bisogna dare alle politiche il tempo per produrre il loro effetto. Bisogna aspettare che gli stimoli si trasmettano all'economia. Sei mesi fa in Europa era allarme tutti i giorni per i prezzi delle materie prime crescenti e gli alti tassi di interesse. Da allora, la Bce ha ridotto il tasso base di 225 punti base in breve tempo. Oggi l'Euribor è ai minimi storici. Lo stimolo c'è, anche se fa meno clamore delle cattive notizie che provengono dall'economia reale ogni giorno». Non c'è il timore alla fine della crisi di una iperinflazione? «L'azione della Bce è indirizzata a tenere il livello dei prezzi nell'area Euro sotto il 2%. Da dieci anni l'obiettivo è centrato e continueremo in questa direzione. Non dimentichiamoci che la bassa inflazione è un'opportunità per tutti, perché aumenta i redditi».

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